David di Donatello, premi ad un settore in difficoltà
La sera del 27 il cinema italiano si è festeggiato nella ormai tradizionale premiazione dei lavori candidati ai David di Donatello (chissà cosa penserebbe l’austero scultore fiorentino del ‘400 dell’inesauribile presentatore Cattelan…, ma lasciamo stare). Protagonista assoluto Paolo Virzì con il suo La pazza gioia, ben cinque statuette, tra cui quella per la miglior attrice protagonista a Valeria Bruni Tedeschi. Sei David a Veloce come il vento di Matteo Rovere, tra cui quello al redivivo Stefano Accorsi come miglior attore protagonista, e sei agli Indivisibili di Edoardo de Angelis, con quello ad Antonia Truppo migliore attrice non protagonista. Valerio Mastandrea si è visto premiare come miglior attore non protagonista per Fiore e Benigni ha ottenuto il Premio speciale alla carriera.
Questi i titoli principali. Alcune considerazioni. Sta bene il cinema italiano, al di là degli autoincensamenti, delle logiche dei produttori – che di fatto sembrano in qualche modo “governare” i David – e dei premi ai soliti noti? Certo, un film come La pazza gioia è bello, non c’è che dire. Virzi ha un tocco brillante, sa descrivere i caratteri, fa sorridere e piangere, fa un misto di tragicommedia ed in questo è molto italiano, e molto toscano. Quanto a paragonare il suo film a Thelma & Louise sembra davvero esagerato (e un poco provinciale): altro spessore psicologico, altra interpretazione nel lavoro americano rispetto al nostro(sia detto senza offesa), anche se Valeria Bruni Tedeschi recita la sua parte migliore di sempre. Però cinque premi…
Riguardo a Veloce come il vento, Stefano Accorsi il premio se l’è meritato: forse è la prima volta che recita sul serio ed appare maturato anche umanamente. È un riconoscimento giusto. Non troppo, sembra, quello a Valerio Mastandrea, bravo attore, molto legato alla romanità, che ha avuto il buon gusto di dedicare il premio ai colleghi (alcuni l’avrebbero meritato forse più di lui).
Con i riconoscimenti dati ad Indivisibili di de Angelis o a Marco Danieli come miglior regista esordiente in La ragazza del mondo, si è voluto dare una spinta ai giovani autori che hanno offerto sicuramente lavori interessanti e in parte originali, ma dal fiato corto. Sta in questo, forse, il limite del nostro cinema attuale. Racconta storie piccole, piccoli mondi, come se la tradizione della commedia realistica si stesse dilatando a dismisura in frammenti, ognuno dei quali diventa un film. Piacevole, anche ben fatto, ma senza un respiro ampio e col rischio della ripetitività. Non sarà anche per questo motivo che le decine di film italiani che vengono sfornati non riempiono le sale?
C’è da avere più coraggio. Anche Benigni, che si è preso il premio alla carriera – non fa un film da anni – dovrebbe non stare in panchina e darsi un nuovo look cinematografico…
Soprattutto il “solito giro produttori-attori” potrebbe volare più in alto e dar spazio a registi e attori, giovani o maturi, che hanno un respiro profondo, anziché limitarsi ai consueti clichè, lasciando al cinema europeo o americano il compito di dire parole grandi. Che noi, volendo, sapremmo ancora pronunciare.