Dati Pfas nelle aule di tribunale

I numeri riguardanti l'incidenza di diverse patologie più alta in alcune aree del Veneto sono stati illustrati nel corso del processo in cui sono imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation. E queste percentuali sono tali da non poter certo essere spiegate con semplice casualità
Pfas

Che nelle aree del Veneto inquinate da Pfas l’incidenza di diverse patologie sia assai più alta che altrove, è noto da anni – e su Cittanuova.it ne abbiamo parlato più volte; ma ora i dati sono arrivati anche in un’aula di tribunale, e per bocca di una rappresentante di quella stessa Regione Veneto a cui i residenti delle zone coinvolte – e in particolare gruppi come le Mamme No Pfas – hanno imputato una colpevole inerzia sia nel fare qualcosa contro la contaminazione, sia nel raccogliere e rendere noti i dati. Ad illustrarli è stata infatti la dottoressa Francesca Russo, direttrice del Dipartimento di prevenzione della Regione Veneto; intervenuta nel corso del processo davanti alla corte d’Assise in cui sono imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.

I dati, in realtà, non sono proprio freschissimi: si riferiscono infatti a uno studio condotto tra il 2015 e il 2016 dalla Regione e dall’Istituto Superiore di Sanità, che è andato a valutare l’incidenza di una serie di patologie tra il 2007 e il 2014; nonché le concentrazioni di Pfas nel sangue di un campione di persone residenti in alcune aree soggette all’inquinamento – nello specifico 7 Comuni della cosiddetta “zona rossa”: Montecchio Maggiore, Brendola, Sarego, Lonigo, Altavilla, Creazzo, Sovizzo – e a confrontarle con quelle di un campione di controllo – i comuni di Dueville, Resana, Treviso, Carmignano di Brenta, Fontaniva, Loreggia e Mozzecane, al di fuori dell’area direttamente contaminata. Un totale di 500 persone, di età compresa tra i 20 e i 50 anni.

Ad attirare l’attenzione non è tanto il fatto che, come più che prevedibile, è stata confermata la maggiore concentrazione di Pfas e Pfoa nel sangue dei residenti della zona interessata; ma quello che le percentuali di maggiore incidenza di alcune patologie sono tali da non poter certo essere spiegate con semplice casualità. Rispetto alla media della Regione si è infatti rilevato un aumento delle cardiopatie ischemiche del 21% per gli uomini e dell’11% per le donne, del 19% delle malattie cerebrovascolari degli uomini, del 25% del diabete mellito nelle donne, e della demenza nel 14% nelle donne. Ma è soprattutto sulle donne in gravidanza, e in prospettiva sui loro bambini, che si vedono gli effetti negativi dell’inquinamento: i casi di pre-eclampsia (patologie della gravidanza meglio nota come gestosi) registrati sono stati il 49% più della media, e per il diabete gestazionale si è toccato un preoccupante +69%. E non sono stati risparmiati appunto i bambini, con un 30% in più di casi di basso peso alla nascita (e il ritardo nella crescita è non a caso una delle possibili conseguenze della pre-eclampsia). Dati che, in sede di processo, risultano quindi di grande rilievo.

La notizia, peraltro, arriva in concomitanza con un’altra simile. L’Università di Padova ha infatti reso noti i risultati di uno studio eseguito su commissione dell’Istituto Superiore Rolando di Piazzola sul Brenta (Padova); finito nell’occhio del ciclone nel 2020 perché i sondaggi effettuati per i lavori di ampliamento, poi sospesi, avevano rivelato che il terreno sottostante l’edificio era contaminato da numerose sostanze tossiche – antimonio, arsenico, cadmio, cobalto, mercurio, piombo, rame, zinco, idrocarburi policiclici. Lo studio è solo preliminare, e necessita pertanto di ulteriori approfondimenti per poter trarre conclusioni; però ha rilevato nel Comune un eccesso anomalo della mortalità per alcuni tumori, in particolare per quello alla vescica (+48%), all’ovaio (+32%) e del sistema linfoematopoietico (+34%). Dati che, hanno spiegato i ricercatori scontano il limite di riguardare un campione statistico esiguo, e che non consentono in alcun modo di definire con certezza una correlazione diretta tra l’inquinamento da queste sostanze e l’incidenza di questi tumori; ma che rivelano l’urgenza di ulteriori indagini per appurare se questa ipotesi sia realistica. Il dito è puntato contro un’azienda chimica fondata dalla locale famiglia nobiliare dei Camerini nel 1930, e passata poi alla Montecatini, dove fino al 1959 si sono prodotti concimi; e sul cui terreno, una volta smantellata la fabbrica, è stato poi costruito proprio l’istituto scolastico.

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