Daredevil
Daredevil, un fumetto portato sullo schermo, alla grande, è stato creato dalla fantasia di Stan Lee circa 40 anni fa e rimodellato parzialmente, in seguito, da Frank Miller. È un avvocato cieco di New York, che di giorno difende i poveri nei limiti del consentito, di notte aggredisce i malvagi come un giustiziere invincibile. I suoi poteri sono superiori in seguito ad un incidente “radioattivo” accadutogli da ragazzo, allorché perse la vista, ma ebbe potenziati gli altri sensi. È perché si sente capace di farlo che si ritiene investito della missione di vendicatore degli oppressi. Mentre uccide, si ripete spesso “non sono io il cattivo ” e cerca l’approvazione di un sacerdote, che in parte gli fa capire le contraddizioni del suo operare e in parte finisce perammirarlo. Insomma il fine giustifica i mezzi, anche sul piano teorico. Ci si trova di fronte ad un modo di ragionare semplificato che calza ad un fumetto di carta, ma assume troppa consistenza in una pellicola ben fatta come questa. C’è tuttavia il rischio che diventi collettiva una mentalità, motivata dalla paura dei malavitosi e dalla sfiducia nelle strutture sociali, che fa conto solo sulle proprie capacità. L’idea di “un diavolo custode”, parole che concludono l’ultima scena, contiene in fondo l’antica tentazione di godere i favori del diavolo. Forse questo film può attirare coloro che da ragazzi furono cultori del fumetto. Ma ora, vedendo quell’ideale di lotta contro il male amplificato dal mezzo cinematografico, il divertimento finisce presto. Regia di Mark Steven Johnson; con Ben Affleck. Raffaele Demaria