Dare Gesù al mondo, rendere presente Dio
Ho conosciuto Klaus Hemmerle nel 1968. Ero allora un giovane sacerdote. Abbiamo passato insieme un periodo di vacanza ad Alghero in Sardegna. In seguito, assieme anche ad altri sacerdoti, ho trascorso per 25 volte le vacanze con lui, fino a quando è morto, nel gennaio 1994. In quei periodi l’ho conosciuto come filosofo e teologo, ma anche come umile cristiano, che conduceva la sua vita in profonda unione con Maria. Si adoperava in ogni modo per vivere come lei solo per Gesù e con Gesù. Questo faceva sì che egli fosse continuamente nell’atteggiamento di imparare e che lavorasse costantemente sulla conformazione interiore della sua vita. Ogni sera, veramente ogni sera, si chiedeva durante quelle vacanze: abbiamo oggi avuto Gesù tra noi? Dove lo abbiamo incontrato? In quali persone? Ho vissuto io, abbiamo vissuto noi in tal modo che Gesù potesse venire e mostrarsi a noi? Abbiamo fatto spazio a lui fra noi? E se potevamo rispondere con un sì sincero era strafelice!
Nel quotidiano delle vacanze ho conosciuto la grande apertura interiore con cui Hemmerle guardava ogni persona ed ogni cosa. Si rifaceva in questo a un principio che aveva appreso dalla filosofia di Welte, Heidegger e Husserl: ogni realtà ha il diritto di farsi vedere; è importante far di tutto perché l’altro possa farsi vedere così com’è. Nasceva da qui la sua apertura alle riflessioni di grandi filosofi come anche alle diverse teologie nella Chiesa. Questo suo modo di pensare con rigore filosofico lo aveva aperto anche all’esperienza di Chiara Lubich. L’approccio di Chiara al Vangelo, come trova espressione nella spiritualità dell’unità, offriva a Hemmerle importanti stimoli per la sua comprensione di Maria. E così la figura di Maria ha dato un’impronta sempre più profonda alla sua vita, al suo pensare e anche al suo modo di essere vescovo. Maria esercitava un influsso decisivo sul suo stile di vita. Vivevamo insieme il Vangelo e, così facendo, capivamo soprattutto quelle caratteristiche di Maria che ci rendevano profondamente Chiesa.
Sta qui anche il motivo profondo della passione ecumenica di Hemmerle, del suo amore per le altre Chiese e per i loro vescovi. L’umiltà e la semplicità di Maria gli mostravano la strada e la meta: si trattava sempre di Gesù.
Maria – la Theotókos
Un primo profilo che Klaus Hemmerle ravvisava in Maria, lo indicava con il titolo che le ha dato il Concilio di Efeso: la Theotókos. Ciò significava per lui: Maria ha dato alla luce Gesù, il Figlio di Dio, interamente Dio e interamente uomo.
Leggendo i racconti biblici, Hemmerle vedeva Maria come colei che indirizza tutto il suo essere a dar vita a Gesù e a portarlo nel mondo. Ne parla in vari brani del suo volume Partire dall’unità. Scrive nel capitolo “La Trinità e Maria”:
«Mi sono trovato a vivere un evento particolarmente significativo in relazione a Maria quando nel 1984 mi recai con un gruppo di vescovi di diverse confessioni nella basilica di Santa Sofia ad Istanbul. Restammo colpiti da questo edificio imponente, poiché vi potevamo percepire in maniera tangibile una presenza enorme della storia della Chiesa e dell’umanità. Ci trovavamo in un edificio dell’antica tradizione cristiana, dell’epoca in cui la cristianità era unita, in cui l’Asia Minore era centro del mondo cristiano; ma eravamo anche nel luogo in cui si consumò la rottura tra Oriente e Occidente e si spezzò l’unità. Nei grandi cunei della cupola vedevamo, enormi, le scritte tratte del Corano, il sopravvento di un’altra religione sulla cristianità lacerata. Proprio davanti a noi erano posti alcuni cartelli che dicevano: “Vietato pregare”. Un museo in cui la gente si aggirava con macchine fotografiche e binocoli, gironzolando di qua e di là e guardando le bellezze artistiche lì conservate. Questa assenza di religione in quello che una volta era un luogo sacro era terribile.
Fummo sopraffatti da questa caduta: unità originaria, unità lacerata, diverse religioni, niente più religione. I nostri sguardi vagavano disorientati in cerca di aiuto, quando all’improvviso – là! Sopra la cupola scintillava, dolcemente e senza farsi notare, un antico mosaico: Maria che offre suo Figlio. Lì ho capito chiaramente: sì, questa è la Chiesa: esserci, semplicemente, e a partire da se stessi generare Dio, quel Dio che appare assente (den abwesenden Gott). La parola Theotókos – Madre di Dio, colei che genera Dio – acquistò per me improvvisamente un suono completamente nuovo. Capii che non possiamo organizzare la fede nel mondo; se nessuno vuole più sentire parlare di Dio, non possiamo batterci con la forza e dire: “Guai a voi!”. Anche noi possiamo esserci semplicemente e portare alla luce, partendo da noi stessi, quel Dio che appare assente. Non possiamo fabbricare questo Dio, ma soltanto portarlo alla luce; non possiamo affermarlo con argomentazioni, ma possiamo essere la coppa che lo contiene, il suo cielo dal quale, pur nella scarsa appariscenza, Egli rifulge. Ho così compreso non solo il nostro compito odierno come Chiesa, ma anche come la Chiesa sussista nella figura di Maria e come Maria sussista nella figura della Chiesa, come entrambe le figure e le realtà siano una cosa sola» (pp. 124-125).
È decisiva la conclusione: noi non possiamo fare Dio, ma possiamo farlo nascere – una scoperta fondamentale per Hemmerle. Dio non si lascia fabbricare, ma possiamo offrire la nostra parte perché egli venga, giacché Dio vuole venire in questo mondo. Qui si vengono a incontrare il compito di Maria e il compito della Chiesa. Maria diventa il tipo, la figura centrale della Chiesa, che non ha altro dovere che annunciare Gesù, testimoniarlo, portarlo nel mondo. Maria sta a significare che Dio vuole venire nel mondo. Per questo Hemmerle voleva modellarsi su di lei. Guardando a lei ha trovato la strada per diventare un’altra piccola Maria nel mondo.
Maria ha per lui un posto speciale nella Communio Sanctorum. Una conferma di questa convinzione Hemmerle l’ha trovata in un colloquio con l’allora vescovo evangelico di Berlino, Martin Kruse. Fu per lui un momento tutto speciale, un kairós ecumenico. Scrive in Partire dall’unità:
«Ma come si dispiega questo mistero in un’immagine, in una figura, in quel modello mariano di vita (mariologische Lebensgestalt) che inserisce Maria all’interno della comunione dei santi non solo come figura particolarmente importante, ma come figura unica? Questa unicità mi è venuta particolarmente in luce nel corso di un incontro ecumenico di vescovi in cui il vescovo Martin Kruse, parlando di Maria, raccontava che una comunità evangelica di Berlino che custodiva un’antica immagine di Maria risalente a prima della Riforma, gli aveva domandato se era possibile porre questa immagine di Maria accanto all’altare senza andare contro tutti i princìpi della Riforma. Egli aveva dato loro la seguente risposta: “È naturale, per me Maria deve essere collocata lì: ella è per me non solo il modello di qualcosa che tutti i credenti sono, ma è anche nel disegno di Dio quella creatura umana unica ed insostituibile mediante la quale il Verbo si è fatto carne. Per salvarci, Dio si è servito di questa determinata ed insostituibile persona e non della semplice idea o del principio dell’Incarnazione. Maria appartiene pertanto a pieno diritto alla nostra fede, in quanto è questa persona concreta ed unica”» (pp. 127-128).
Maria – figura di chi crede
Nelle parole di Elisabetta, Hemmerle trova un’altra affermazione centrale su Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 45). Maria è per lui semplicemente colei che crede. Questa è la sua caratteristica fondamentale. Ripetutamente egli sottolineava questa esemplarità della fede di Maria anche nelle sue prediche sulle nozze di Cana. Maria orienta i servi a dar ascolto a ciò che Gesù avrebbe detto loro. Era decisiva per Hemmerle la parola: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). Partendo da questa semplice parola, con la sua singolare capacità di giocare con le parole, ha sviluppato questa sequenza di pensieri:
Fate quello che egli vi dice!
Dite quello che fate!
Prendete quello che egli vi dà!
Date quello che prendete!
Secondo Hemmerle, la fede di Maria è la sorgente decisiva cui lei ha attinto per dar forma alla sua vita. Così anch’egli si lascia plasmare dalla fede che Dio si vuole donare sempre di nuovo. In questo senso Maria diventa figura fondamentale della sua vita. Lo si vede ancor più chiaramente nella sua esegesi della risposta di Maria all’angelo Gabriele: «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38). Scrive:
«Ogni Parola di Dio è contemporaneamente risposta, è contemporaneamente parola degli uomini, una parola che non ci sarebbe se non fosse stata trascritta e tramandata da qualcuno che l’ha accolta, che è divenuto obbediente a lei e che la dice a noi. La Parola di Dio scende dal cielo e cade sul Figlio diletto o sui discepoli; il Figlio diletto e i discepoli sono coloro che dicono a noi ciò che il Padre dice. La Parola di Dio viene sempre dall’alto in maniera non derivabile, ma al tempo stesso viene anche dal basso: solo ciò che proviene dal cielo può crescere dalla terra […]. Questo principio fondamentale della storia della salvezza è anche inscritto nell’Incarnazione della Parola in Maria. Per questo motivo Maria come Vergine e madre appartiene al cuore del messaggio cristiano» (pp. 126-127).
La Parola prende carne da Maria. Hemmerle chiama Maria “il vuoto che accoglie” la Parola, che diventa la sua forma di vita. Colei che è piena di grazia ascolta e accoglie la Parola di Dio:
«… poiché [Maria] ha accolto la Parola e la Parola è divenuta carne in lei, la Parola è diventata contemporaneamente forma della sua vita. Maria ha custodito questa Parola nel suo cuore: ovunque lei vada, la si vede sempre in rapporto con questa Parola. Se ci soffermiamo sui passi del Nuovo Testamento in cui si parla di Maria, possiamo notare che in essi assume sempre un ruolo di primo piano una Parola tratta dall’Antico Testamento o la riflessione al riguardo. Maria è colei – così la Chiesa vede Maria e per questo motivo la chiama beata – che ha impresso in se stessa il marchio della Parola che ha donato a noi. È fondamentale che lei sia diventata, per così dire, il vuoto che accoglie la Parola di Dio (Hohlform des Wortes)» (pp. 129-130).
Maria sotto la croce
Un terza immagine: Maria sotto la croce, la Desolata.
Hemmerle è stato profondamente impressionato dall’idea che Gesù Abbandonato, dal quale egli si sapeva accolto fin nei più intimi abissi del suo essere e nelle proprie ferite, si trovasse da solo sulla croce, abbandonato da tutti. Ma poi il suo sguardo cade su Maria. Lei non è solo presente sotto la croce, ma soffre con Gesù. Hemmerle riconosce in questo fatto un elemento attivo e partecipativo. E questo vale non solo per Maria, ma per tutti coloro che si mettono con fede ai piedi della croce, calandosi, da crocifissi, come Gesù stesso nelle situazioni di peccato, maledizione e morte. Ecco come egli si esprime:
«Che cosa avviene sotto la croce? L’Abbandonato, colui che mi ha assunto fin nelle più intime profondità dell’abisso, è appeso là ed è lasciato solo da tutti. Ma non deve essere accompagnato da qualcuno? Non deve esserci da qualche parte un punto attraverso il quale la sua solitudine estrema possa entrare nel cuore della tradizione e della mia fede? Colui che là era completamente solo, non deve forse darsi a noi ed essere donato anche per mezzo di creature umane, perché possiamo conoscerlo e trovarci là anche noi, sapendo che lui era realmente là? […] L’ultima realtà del dolore di Gesù è presente nell’umana compartecipazione a questo dolore da parte della Madre sotto la croce, la Madre Desolata. E questo umano compartecipare al dolore (Mitleiden) è la più elevata partecipazione dell’uomo a Dio. Ciò è vero anche per noi. Non possiamo fare nulla di più divino che unirci con colui che per noi è andato incontro all’abbandono della croce. Se diventiamo peccato con lui, se tutto ciò che è maledizione, peccato e morte entra dentro di noi perché noi, amando, teniamo duro, allora raggiungiamo il massimo, la realtà suprema. Forse per questo motivo sono persone nel senso più pieno quelle madri che stanno in piedi impotenti davanti alla mancanza di fede dei loro figli e delle loro figlie. Forse per questo motivo sono persone nel senso più pieno coloro che oggi, in ogni dove, sono ai piedi della croce» (pp. 134-135).
Questa intima unione con Dio, che Klaus Hemmerle descrive qui, si realizza nel modo più profondo là dove la croce diventa nostra forma di vita, dove diventiamo uno sotto la croce. Hemmerle si riferisce qui esplicitamente alle parole di Gesù a Maria e a Giovanni:
«Particolarmente importante e significativa in tal senso è la scena sotto la croce narrata dal Vangelo di Giovanni: “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: ‘Donna, ecco tuo figlio!’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco tua madre!’. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19, 26.27). In questo “ecco” che Gesù rivolge alla madre e al discepolo si compie il gesto di una grande rivelazione […]. Giovanni intende dire che proprio una comunità che sta ai piedi della croce ed è rappresentata nella madre di Gesù, è particolarmente importante per l’unità della Chiesa» (p. 136).
Quanto fosse rilevante per Hemmerle la figura di Maria, e come egli ricavasse da lei luce per il suo pensiero sulla Chiesa e sul ministero nella Chiesa, emerge da un brano che merita particolare attenzione. Hemmerle osa dare al principio mariano la precedenza su quello petrino. Egli scrive:
«Se intendiamo la Chiesa nella sua totalità e la comprendiamo come communio in senso totalizzante [globale], allora la Chiesa può ritrovare se stessa soltanto in ciò che la Theotókos, la Madre di Dio, le dice: Maria è quella creatura umana che dentro l’assenza di Dio porta alla luce Dio. In questo contesto riconosciamo che una Chiesa senza Maria non potrebbe esistere. Ribadisco con fermezza il significato costitutivo del ministero apostolico nella Chiesa, e una Chiesa senza apostoli non riuscirei neppure ad immaginarla; sarebbe tuttavia più facile immaginare una Chiesa senza apostoli, anziché senza Maria. Maria e il suo “ministero” sono la cosa più importante nella Chiesa. Chiediamoci che cosa possiamo fare noi per vivere con Maria e appartenere così alla Chiesa che – come affermano anche il teologo Hans Urs von Balthasar o il nostro papa Giovanni Paolo II – deve essere plasmata più da Maria e dal profilo mariano che da Pietro e dal profilo petrino» (p. 137).
Maria – modello di una spiritualità ecclesiale
Che significa questa visione di Maria per la vita spirituale? Hemmerle la riassume così:
«La Parola è carne in noi? Vivo con la Parola di Dio al punto che essa diventa tangibile in me? Esisto e vivo in maniera diversa per il fatto che conosco questa Parola? La Parola si trova non solo nella mia testa, ma anche sulle punte delle dita, nel mio modo di camminare, nel battito del mio polso, nel mio cuore, nei miei affetti, nei miei progetti, nelle mie vie, nelle mie azioni?». E prosegue: «Credo sia bene che proprio una donna ci abbia indicato cosa questo significhi, perché la potenza di incarnazione tipica della donna rivela qualcosa di originariamente umano che appartiene a noi tutti e non solo alle donne, ma è visibile nelle donne, e nella donna Maria» (p. 138).
Un secondo pensiero: bisogna rimanere in Dio. Ogni vocazione cristiana e l’essere cristiani hanno questo fondamento contemplativo.
E poi un compito ulteriore: far nascere Dio.
«Là dove arrivo io, vuole arrivare anche Dio. Là dove vivo, non devo tirarmi indietro con vergogna né parlare a vanvera, ma sono pronto a parlare laddove è necessario. Vivere e parlare, essere e agire affinché Dio sia presente! Essere Maria, Maria che non è nulla di grande e non vuole significare nulla di grande, ma che genera il Figlio e porta il Figlio, Dio, in mezzo a noi» (p. 139).
Questi alcuni cenni sul rapporto di Hemmerle con Maria. Va aggiunto che egli viveva con lei anche nella preghiera. Quante volte abbiamo recitato insieme il rosario ripercorrendo le tappe della vita di Maria come ce le trasmette soprattutto il Vangelo di Luca! Similmente anche i dogmi mariani avevano un ruolo fondamentale nel suo pensiero e nella sua vita.
Wilfried Hagemann