Danzare, che passione!
Hanno vent’anni, l’età dei sogni: possibili e impossibili. Ma necessari. Sul palco saettano e si trasformano. Fuori, appaiono due ragazzi semplici, uniti dall’amore per la danza, pur partendo da strade diverse. Rezart, sei arrivato in Italia a quindici anni, il 14 settembre del ’98 con una borsa di studio di tre mesi. “Studiavo già da cinque anni a Tirana, perché la passione per la danza ce l’avevo, potrei dire, nel sangue, da ragazzino. A casa, la mamma era favorevole, ma papà avrebbe desiderato continuassi gli studi, dove andavo bene. Comunque, mi sono iscritto alla scuola di Tirana, in cui avevamo insegnanti formati in Russia. Poi, è arrivata la borsa di studio per San Marino, dirottata, non so come, a Reggio Emilia, dove sono rimasto”. Tu, Michela, sei invece italianissima di Verona, e arrivata qui da ragazzina. “Frequentavo la prima media, ed è stata un’insegnante appassionata di danza a spingere perché studiassi: lei credeva avessi talento. I miei non erano del tutto convinti: si fece un’audizione, che andò bene. Decidemmo che avrei provato a trasferirmi per un anno e poi si sarebbe deciso. Così gli anni sono diventati dieci (ride, ndr)”. Certo, Michela, un periodo molto lungo, di maturazione umana e artistica. “L’esperienza di convitto (è quella che fanno le allieve della scuola, ndr) con le altre ragazze all’inizio è stata dura: si era in venticinque, ed io ero abituata a vivere da sola, per cui abitare con tanta gente è stato in certi momenti traumatico. Ma mi è servita parecchio, mi sento cresciuta caratterialmente: da piccola ero impulsiva, ora ho imparato a controllarmi, a riflettere, pur rimanendo un tipo estroverso e sincero. Ho studiato, prendendo il diploma magistrale, e ho concluso la scuola di danza che mi ha dato tutto artisticamente, perché prima non avevo nulla. Un’esperienza quindi molto positiva”. Rezart, quando sei arrivato eri molto timido, parlavi poco, ma non eri alle prime armi nello studio. . . “Ora sono cambiato, anche perché da cinque anni vivo con una famiglia fantastica, che mi considera come un figlio. Questo è molto importante per noi albanesi, che amiamo la famiglia allargata, per cui in Italia all’inizio mi sentivo molto solo. Poi, qui a Reggio ho anche preso il diploma all’istituto turistico alberghiero: anni molto belli, perché i professori venivano agli spettacoli e poi mi dicevano: “ma qui a scuola sembri un altro”” Adesso mi sento a casa, in Italia, tanto che vorrei far trasferire pure la mia famiglia. Riguardo alla scuola, ho trovato delle sorprese. La scuola a Tirana è molto basata sulla tecnica, qui invece mi sono accorto che non esistono solo le gambe: un cambiamento di mentalità e anche di vita, molto concreto. In Albania, ad esempio, ero abituato a danzare scalzo, e così ho fatto il primo giorno qui, allenandomi alla sbarra. Quando m’hanno visto, si sono preoccupati subito e mi hanno “imposto” (fortunatamente) le scarpette” Soprattutto ho capito in questa scuola cosa è l’arte in sé. Prima, facevo dieci “giri” per me stesso, ed ero contento; ora capisco che è il “come” farli che conta, più che la tecnica: sta in questo la bellezza di un ballerino”. Michela, ormai sei abituata a stare sul palco. Cosa provi mentre danzi? “Tante cose, soprattutto mi sento bene. Ovviamente, sei anche tesa, concentrata su ciò che devi fare, hai paura di sbagliare, magari puoi avere dolori fisici in quel momento. Ma quando balli ti estranei dal dolore e ti dici: devo fare qualcosa per gli altri, al meglio. Perché una cosa che non dà emozioni, non serve. Questo mi ripaga della fatica, e alla fine mi sento bene: ho fatto una cosa che piace a me ed è piaciuta agli altri. Come è successo con “Ground Zero” a Piacenza, l’anno scorso, che era la mia “prima parte” in un balletto. Non saprei dire cosa ho provato precisamente, perché è difficile spiegare cosa è la bellezza: ero molto contenta, questo sicuramente”. E tu, Rezart? “Quando sono sul palco, provo sensazioni diverse, a volte belle a volte pesanti. Prima di entrare c’è molta tensione; dipende anche da dove sei, dal tuo ruolo, da con chi danzi, insomma da tanti elementi. A volte, rivedendo uno spettacolo registrato, mi viene da dire: qui ho fatto bene, qui invece è tutto da rifare! Certo, a fine spettacolo, gli applausi ti danno una gioia di quelle che riempiono il cuore, brevi o lunghi che siano. Ricordo quando interpretavo Gesù nello spettacolo “Ground Zero” o più recentemente “Le nozze di Cana”, a Castelgandolfo: sala strapiena, mi sentivo tanti occhi addosso. All’inizio poteva essere bello, ma poi trovarmi lì solo, in mezzo, è stato difficile. Allora ho messo in quel pezzo tutto ciò che sentivo, anche con l’aiuto della musica che in sé ti dà molto come interpretazione. Gradualmente mi sono abituato al ruolo, ho preso confidenza col pubblico: cercavo così di non badare tanto ai passi, ma di mettervi l’anima”. La danza, come altre forme d’arte, porta ad una certa competizione con i colleghi. È possibile essere amici nel vostro mondo? Cosa ne pensi, Rezart? “Certo, in qualsiasi scuola, tutti ambiscono come te a diventare bravi e nel nostro ambiente non è facile mantenere delle amicizie. Tuttavia, è possibile. Infatti, ho incontrato un mio compagno di classe in Albania, che ora vive in Italia, con cui ci conosciamo da dieci anni, ed è una spalla per me, è più che un fratello. Credo che la nostra amicizia durerà sempre. Anche con i compagni di classe sono rimasto molto legato, sono venuti a trovarmi nei due spettacoli che abbiamo fatto vicino a Reggio”. E tu Michela, che ne dici? “Certo, in questa scuola, in cui sono giunti ragazzi dalla formazione più disparata, c’è stata ovviamente la componente della rivalità. Ma in genere, anche per il confronto continuo con gli insegnanti, più che a sfidarci abbiamo puntato ad aiutarci. A volte si pensa che la competizione serva a motivarci, credo però che aiuti di più la “complicità” a migliorarci anche sul piano umano e di conseguenza su quello artistico”. Diplomati entrambi, lavorate nella Compagnia Cosi-Stefanescu, ma aperti anche ad altre possibilità. Cosa è, in definitiva, a questo punto, l’arte della danza per voi? Rezart: “Al di là di tanti pregiudizi che a volte si sentono verso i danzatori, io credo che non sia facile comprendere cosa sia il balletto. Certo, nella mia esperienza, ho ballato pezzi in cui veniva in rilievo e molto la dimensione spirituale, dove c’entra il divino: nel balletto si ha molto a che fare con cose dell’anima”. Michela: “Secondo me, l’arte in genere e la danza, è qualcosa che arricchisce moltissimo chi la fa e soprattutto chi la riceve, perché la danza fa provare emozioni, suscita riflessioni. Difficili sempre da esprimere a parole, ma molto vere”.