Danza mortale
Strindberg scatena tra i due coniugi una ridda di veleni, calunnie, menzogne, per screditarsi l’un l’altro.
Manca la luce. Dentro e fuori. Così il buio del male si annida nei loro animi, senza possibilità di redenzione. Emblematica la scenografia di Alessandro Camera: una collinosa distesa di sabbia da cui emergono mobili sghembi, residui di porte, finestre rotte. Su queste rovine, tra lo stridore di gabbiani e una musica incessante, assistiamo alla crisi di una coppia che fa delle nozze d’argento il pretesto per un gioco al massacro.
In Danza di morte Strindberg scatena tra i due coniugi una ridda di veleni, calunnie, menzogne, per screditarsi l’un l’altro. Lui capitano d’artiglieria fallito, preda di sterili paranoie e frustrazioni; lei ex-attrice che ha rinunciato alla carriera, che per rappresaglia espelle disprezzo. Confinati in una torre su un’isola, l’arrivo di un cugino accentua la disputa. Ma appena il malcapitato – complice ora dell’uno ora dell’altra – atterrito si ritrae, ciclicamente riprendono la loro esistenza di sempre: un’ambigua complicità scandita da una stanca rassegnazione e da una sorta di fredda comprensione. Qui non fa breccia il vero amore.
A distanza di 11 anni Gabriele Lavia torna in coppia, sulla scena, con l’ex moglie Monica Guerritore. Due naufraghi sul palcoscenico, che ora, riconciliati, “giocano” soltanto a farsi male, togliendo però alla pièce, per l’eccessivo pigiare sul grottesco, la spietatezza funeraria che dovrebbe gravare sull’atmosfera.
Al teatro Argentina di Roma.