Danlenuàr, nel buio della miniera
È un piccolo, grande racconto, capace di contenere, condensare ed evocare un pezzo di storia, italiana e non solo. Che si fa epica, descrivendo una struggente, poetica, realistica saga familiare. “Danlenuàr”, testo vincitore del Premio Enrico Maria Salerno per la drammaturgia 2008, è diventato un libro (Navarra editore) e uno spettacolo con lo stesso autore in scena insieme a Maria Francesca Spagnolo. Nell’affollato panorama del teatro di narrazione, il giovane attore e scrittore palermitano aggiunge nuova freschezza al genere, sia per presenza performativa che per qualità di scrittura. Profondamente radicato in quella terra fertile di creatività che è la Sicilia, che continua a generare talenti, Guarneri si è formato alla scuola di maestri del racconto come Mimmo Cuticchio, Davide Enia, Ascanio Celestini, Dario Fo e, soprattutto, attorialmente, il suo nome è legato alla regista Emma Dante, quale interprete dello struggente spettacolo “Vita mia”.
Rappresenta una successiva evoluzione artistica il suo “Danlenuàr”, titolo che deriva dal francese dans le noir, cioè nel buio. Tra autobiografismo (buio personale) e memoria collettiva (il buio profondo di una miniera di carbone del Belgio), tra immaginazione e fatti realmente accaduti, ricerca delle radici e necessità di capire l’oggi, Guarneri imbastisce un dramma epistolare che ci cattura nella morsa dolorosa di una tragedia lontana, ma con echi ancora attuali: quella degli emigranti del nostro Meridione morti nelle miniere belghe nel ’56. Una storia di fughe senza ritorno.
Pur nella consapevolezza del dramma che incombe Guarneri riesce a farci sorridere costruendo un divertente dialogo epistolare tra i due candidi protagonisti, marito e moglie. Nella penna dell’autore, l’emigrato in cerca di lavoro diventa un novello Chaplin siciliano; mentre lei, rimasta a casa in attesa di raggiungerlo, sogna una gallina che scodella alberi di mele contenenti anelli d’oro. La loro storia è arricchita di personaggi fantastici: il compagno di baracca polacco che lancia spaghetti al muro per saggiare la cottura, o il signor Porco Diavolo, che così si soprannomina per non aver mai bestemmiato il Signore in vita sua.
Ricco di dettagli narrativi, di parole francesi sicilianizzate dal protagonista, di descrizioni di stati d’animo tra la lacrima e il riso, il racconto di Guarneri nasce dall’aver imparato quanto sia importante ascoltare. Si è nutrito di storie reali raccolte nel suo ambito famigliare, fra ex-zolfatai dell’entroterra siculo, e in Abruzzo incontrando alcuni dei superstiti della “catastrophe” di Marcinelle. Da qui l’attenzione di Guarneri si è focalizzata sulla vicenda del vero e proprio esodo che seguì al famoso Protocollo di Roma (il cosiddetto accordo minatore-carbone con cui, nel 1946, il Governo italiano s’impegnò a inviare la propria manodopera al lavoro sotterraneo in Belgio, in cambio di un prezzo di favore nell’acquisto di carbone da quel Paese).
Allargando il significato della vicenda storica, “Danlenuàr” ha il pregio di mutare in racconto universale: una riflessione sul presente che, come dice lo stesso autore, «cerca di capire la miseria che porta gli uomini ad accettare il lavoro in condizioni estreme, la dignità scalfita che convive col coraggio, la voglia di costruire che sempre si rinnova e i limiti massimi dell’attesa, le tante morti bianche di ieri e di oggi». Infine, a differenza della messinscena, Guarneri aggiunge nel libro un capitolo, “Rue Beaurepaire”, un epilogo che spiazza. Quasi un colpo di scena. Dalla forma più canonica e immediata della prima parte, la scrittura muta stile, vira sul simbolico, e ricomincia la storia là dove sembrava tutto finito. Racchiudendo nel semplice affidare ad una lettera mai inviata la confessione del padre verso il figlio mai conosciuto, Guarneri fa del protagonista una summa di tutti gli apolidi, un uomo che ha perso tutto nome, identità, origini, religione, sesso , a cui rimane solo il ricordo, la memoria.
Danlenuàr, di e con Giacomo Guarneri e Maria Francesca Spagnolo. Roma, Teatro Valle Occupato, domenica 20 maggio, per la rassegna dell’Arsenale.