Daniele Pecci è “Enrico V” al Globe Theatre

L’attore e regista fa rivivere sulla scena una delle tragedie scespiriane meno rappresentate sulle ribalte italiane: la storia del giovane monarca inglese, scapestrato e poi redento dalla gloria del trono e delle armi.
Una scena dello spettacolo Enrico V

Già avveniva durante le prime rappresentazioni nel 1599 al Globe Theatre di Londra, dalla struttura circolare di legno scoperchiata: e così anche in quello romano di Villa Borghese, nella rappresentazione dell’Enrico V c’è un attore, inserito a cicli da Shakespeare, facente la funzione di “coro”. Egli esorta il pubblico a contribuire con la fantasia alla fatica degli attori, a trasferirsi con l’immaginazione fra i combattenti della battaglia di Agincourt; così “di un uomo farne mille” là dove non vedrà che poche spade puntate, non potendo qualsiasi palcoscenico contenere regge, palazzi, osterie – men che meno i vasti campi di Francia dove si affrontano due interi eserciti, quello inglese e quello francese. Insomma, invita a sopperire alle deficienze dell’“arena di legno” in cui la rievocazione simbolica si svolge.

Ma egli dà voce anche alle riflessioni dell’autore, e in senso più generale agli orrori della guerra e alla pochezza degli uomini. Enrico V è tra i drammi storici di Shakespeare forse il più civile, più nazionale, più monarchico, anche se il Bardo non mette mai la verità su un medesimo piatto della bilancia. Se incorona il re, sa anche come presentarcelo nei suoi aspetti più umani e fragili. Enrico V fu pur sempre il giovane principe Hal, già compagno di bisboccia di quel sir Falstaff del quale qui viene narrato il momento della morte; e, affinché del grassone Falstaff non si perda traccia, tornano in scena i tre spavaldi e grotteschi compari, senza però quella sanguigna comicità che hanno nell’Enrico IV. Quanto poi, oltre alla figura regale, conti per Shakespeare il popolo, lo si vede proprio in questo dramma: soprattutto nella grande scena in cui il soldato Williams reclama i suoi diritti davanti allo stesso sovrano, sia pur travestito. Tutto questo alternando linguaggio alto e basso, manieristico e comico, insieme ad una profonda riflessione sul teatro.

Tra le meno rappresentate, al contrario di Riccardo II e di Riccardo III, quest’opera non ha mai attirato, e non solo in Italia, registi di grande nome; anche se ha visto al cinema misurarsi un “mostro sacro” come Laurence Olivier, e successivamente Kenneth Brannagh. Personalmente ricordo una vigorosa versione moderna del regista inglese Edward Hall con la compagnia Watermill – quando a Roma si vedeva il teatro internazionale nell’ambito del Festival d’Autunno organizzato dall’Eti -, che presentava l’opera attraverso lo sguardo di un gruppo di giovani soldati, e con la scena della battaglia evocata da un ring di boxe. Ad accingersi il compito – meritorio e dunque operazione apprezzabile – di farlo rivivere sulla scena, misurandosi nel ruolo nobile e complesso del monarca inglese scapestrato e poi redento dalla gloria del trono e delle armi, è ora Daniele Pecci: in qualità, oltre che di interprete, di regista e adattatore, nell’allestimento prodotto da Politeama srl per la stagione estiva scespiriana al Silvano Toti Globe Theatre di Roma.

Prima ancora che dramma storico, e più che apologia dell’istituto monarchico, Enrico V è la problematica vicenda di un sovrano che diventa, suo malgrado, una terrificante macchina da guerra; prigioniero di una realtà che lo sovrasta, costretto dagli eventi, più che da una scelta ragionata, a rinnegare i trascorsi giovanili, a cercare la gloria nel sangue, a dimenticare ogni pietà. Questo di Pecci è uno spettacolo dignitoso nella ricerca di un’essenzialità formale dell’epoca, perseguita con la riduzione dei personaggi e del testo; ma che non avvince perché troppo convenzionale, mancante di atmosfera, di quella forza che ci possa parlare del nostro tempo. Siamo in un mondo contemporaneo e lo spettacolo potrebbe chiamare in causa riferimenti a certa politica decisionista di oggi di campagne militari e mediatiche, o drammatizzare la volgarizzazione corrente dei canoni di guerra. Nel travolgente discorso della notte di San Crispino, per esempio, che nel testo Enrico fa per incitare i suoi soldati alla battaglia (quella di Agincourt che vide la conquista totale della Francia di Carlo VI da parte degli inglesi), non si avverte la forza di quella mancanza di scrupoli eletta a necessario senso dello Stato che in secoli e secoli non cambia, che qui sembra risolversi in un tiepido appello. Per non parlare del liberatorio sollievo con cui Enrico s’abbandona, alla fine, al corteggiamento della finta ingenua principessa francese Caterina. L’allestimento si riduce a una serie di tableaux in cui brillano i bei costumi di stampo elisabettiano, torce di fuoco, e si alzano effimeri i clangori della guerra dietro un rosso velario di ombre di soldati. Il cast, escluso Caterina, la figlia della regina Isabella e promessa a Enrico, è tutto maschile come era d’uso al tempo, con alcuni degli interpreti impegnati a moltiplicarsi in più ruoli.

Enrico V”, di William Shakespeare, adattamento e regia Daniele Pecci, con Daniele Pecci e, in ordine alfabetico, Sergio Basile, Marco Bonadei, Alessio D’Amico, Pierpaolo De Mejo, Pietro De Silva, Maurizio Di Carmine, Mariachiara Di Mitri, Martino Duane, Vito Favata, Sebastian Gimelli Morosini, Gianluca Gobbi, Marco Imparato, Roberto Mantovani, Raffaele Proietti, Mauro Racanati, Mauro Santopietro, Francesca Romana Succi, Antonio Tintis, Carlo Valli; scene e costumi Susanna Proietti, musiche Patrizio Maria D’Artista, disegno luci Umile Vainieri. A Roma, al Silvano Toti Globe Theatre di Villa Borghese, fino al 6 agosto.

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