Daniele Gatti e Mahler
In Germania, mi ha confidato un collega, appena la gente sente parlare di un concerto diretto da Gatti con musiche di Wagner e Mahler riempie le sale.
È successo anche a Roma, a Santa Cecilia. Gatti c’era stato da direttore giovane, promettente certo, ma acerbo. Dopo anni di esperienza con le grandi orchestre internazionali, soprattutto ad Amsterdam, si può dire che il talento ha spiccato in volo molto in alto. Del resto, era sufficiente ascoltarne la direzione nel Rigoletto da poco dato al Teatro dell’Opera romana per averne una conferma.
Gatti ha aperto il concerto con l’Idillio di Sigfrido di Wagner. Raramente ho udito questa pagina, composta per la moglie Cosima la vigilia di Natale del 1870, interpretata con tale delicatezza e sensibilità. L’orchestra ha offerto un suono diafano – la luce del primo oboe, speciale -, sotto il gesto sobrio, per nulla divistico, del direttore che ha miniaturizzato i colori, le luci, le dinamiche, come in un dipinto “simbolista”. L a sintonia con il pubblico è stata immediata.
Wagner è stato un preludio alla Quarta Sinfonia di Mahler, anno 1901, chiamata “la vita celeste”. Celeste è stato il clima che si è creato, dall’inizio brillante e sorridente, dal timbro infantile nel senso di innocenza ritrovata, che percorre i 55 minuti della partitura con una orchestra meno gigantesca del solito, ma più intima, si direbbe “spirituale”.
È un Mahler che, nel terzo movimento “Calmo”, descrive o meglio entra nella sua anima che sembra aver finalmente trovato quiete.
La musica espande una sensazione di pace senza fine, una leggerezza in punta di piedi con qualche scoppio fragoroso che non guasta.
Fa ricordare il lirismo del terzo movimento della Nona di Beethoven o alcuni passaggi di Mozart e Schubert. Ma non è loro, è Mahler ritornato positivo, semplice, fanciullo. Bisognoso di silenzio dove alcuni strumenti – oboe corno inglese corno violino –possono cantare come canta luminosa il soprano Rachel Harnisch alla fine “la vita celestiale” dove si parla di gioia serena, tra cielo e terra.
La sala è pervasa – nonostante il solito cellulare –da un senso di infinità, di riposo dove si assapora una gioia diversa che l’unità d’intenti orchestra-direttore, raggiunta, può esprimere. Gatti ha come raccolto i suoni, plasmati, scavati e offerti come una trasparenza pacificante di quella realtà increata che solo la musica, e in un concerto-evento come questo, sa esprimere.