Daniele e le ombre cinesi

Un profeta che rivoluziona la visione dell'aldilà, dipinge la vita dopo la morte a seconda della valutazione di Dio degli atti di ciascuno
Michelangelo, "Daniele", volta della Cappella Sistina

Nella storia di molti movimenti religiosi ci sono periodi più o meno lunghi nei quali, quando si sente Dio chiamare al cellulare si ignora la chiamata. Nessuna offesa al capo, naturalmente. Non si risponde per non turbare l’andazzo corrente, che si ritiene soddisfacente, anche se in realtà è tutt’altro che passabile. Ma ci si è stabilizzati su un certo tran tran, nel quale molti trovano una realizzazione personale, e si autoconvincono di compiere in quel modo l’opera che Dio aveva affidato a loro. Non si risponde quindi, perché si sa che quando Dio chiama non c’è da stare tranquilli. Lui scompiglia le carte, suscita novità che sorprendono, stupisce con l’imprevedibilità che a volte scortica. E questo spiazza le programmazioni, le analisi, le strutture organizzative. Meglio ignorare la chiamata.

I profeti sono invece quelli che, quando vedono il nome di Dio comparire sullo schermo dello smartphone, rispondono sempre. Daniele è stato uno di questi. Nato a Gerusalemme, è lì nel VI secolo a.C. quando capita la grande catastrofe: l’invasione babilonese e la distruzione della città santa e del tempio. Anche lui è deportato a Babilonia. La maggioranza degli studiosi oggi ritiene che il libro della Bibbia che porta il suo nome, il Libro di Daniele, sia stato composto molto tempo dopo quei fatti e che sia poi stato attribuito a lui. All’epoca, tanti componimenti erano redatti in quel modo. Il Libro di Daniele si ritiene oggi scritto durante un altro grave periodo di crisi, quando gli ebrei subivano una forte pressione per assimilarsi alla cultura ellenistica, compreso il culto di divinità pagane. Il re seleucide Antioco IV aveva fatto uccidere molti ebrei che avevano rifiutato l’ellenizzazione e aveva pure collocato idoli nel tempio. Questo aveva portato a un’insurrezione degli israeliti, guidata dalla famiglia soprannominata “Maccabei”, termine ebraico che significa “martelli”. Per gli ebrei erano tempi durissimi. Per dare coraggio in questo periodo di prova, fu redatto il Libro di Daniele.

La cosa singolare di questo testo è che inaugura un nuovo modo di scrivere nella Bibbia. Fino ad allora i profeti si erano posti al centro del palcoscenico e da lì lanciavano invettive o accarezzavano il loro audience. Daniele invece si mette dietro le quinte e trasmette i suoi messaggi come attraverso delle ombre cinesi. Usa linguaggi misteriosi, di sogni e di visioni. Il genere in cui si esprime si chiama “apocalittico”, una parola che significa “rivelare quello che è nascosto”. Daniele si interroga sulla sofferenza della sua gente, ma diversamente dagli altri profeti, non porta consolazioni e neppure accusa Israele per le sue malefatte. Lui dipinge il futuro. Come gli altri israeliti, Daniele non vedeva la storia come un cerchio. Un gatto che si morde la coda, o una ruota che gira, come sostengono diverse religioni orientali o animiste. Lui vedeva la storia come una freccia scagliata verso il futuro. E voleva spiegare cosa è il futuro. Ebbe una idea folgorante, già accennata da un paio d’altri profeti: il futuro consiste nella vita dopo la morte e nella valutazione di Dio degli atti di ciascuno. Ci sarà per ognuno o una vita eternamente beata o tristezza senza fine.

Fino ad allora il popolo di Israele non si era fatto molte domande su cosa succede dopo la morte. Immaginava che i morti finissero come ombre in un regno sotterraneo chiamato Sheol. Uno spazio triste, vuoto, silenzioso, un abisso nel quale non si può più avere contatto con Dio. Un passo del libro di Giobbe dà l’idea di quel luogo: «Lasciami, che io possa respirare un poco, prima che me ne vada, senza ritorno verso la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di oscurità e caos, dove la stessa luce è tenebra». Daniele, con la sua idea innovativa, introduceva dei nuovi luoghi misteriosi che saranno poi conosciuti come paradiso e inferno. Alla fine dei tempi tutti i defunti sarebbero stati resuscitati assieme, anche se sarebbero stati giudicati individualmente. In una pagina memorabile, scrive: «Ora, in quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna…». Un’idea a noi molto famigliare, ma per l’epoca sorprendente. Daniele aggiungeva poi che, quando la fine sarà prossima, Dio manderà un suo agente speciale. Il Messia. Veniva così annunciata ai perseguitati durante la rivolta dei Maccabei, che le loro sofferenze sarebbero presto finite, le loro lacrime asciugate, e la gioia sarebbe tornata sui loro volti. Perché presto sarebbe venuto il Messia. Non come qualcuno disceso dal cielo. Ma come uno che avrebbe vissuto in mezzo a loro. E dopo la morte ci sarebbe stata per i giusti lo splendore della vita senza fine nel Cielo.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

 

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons