Damien Hirst, l’immortalità dell’uomo
A Firenze l’opera sconvolgente dell’artista inglese. Fino al 1 maggio 2010.
Salire per le scale ripide di Palazzo Vecchio. Fermarsi nella Sala dei Cinquecento tra gli affreschi vasariani. Osservare le sculture, fra cui la Vittoria di Michelangelo, tanto irreale nell’allungamento spropositato delle figure e in quei volti allucinati da sembrare proveniente da un altro mondo. Ma il gruppo michelangiolesco è quasi una preparazione a quello che ci attende, dopo il Gabinetto alchemico di Cosimo I. Si scosta una tenda, ed ecco il buio assoluto di un ambiente che si immagina piccolo. Al centro un teschio umano in scala reale, tempestato di 8.601 diamanti al massimo grado di purezza. Sulla sua fronte, incastonato, un diamante rosa a forma di goccia, noto come “la stella del teschio”.
Non è questa una immagine di morte, un memento mori di stampo medievale oppure barocco. Non reca quindi l’impronta della vanità di tutto, del dolore e della terribilità della fine di ogni uomo. Piuttosto è un inno di gloria. La luce che emana dal teschio, le infinite vibrazioni argentee dei diamanti, ne fanno una sorta di cielo stellato raggrumato in un cranio che è solo luce.
Immagine di vittoria dell’uomo sulla morte e sul decadimento fisico, il teschio parla della giovinezza della vita, di immortalità. For the love of God, Dall’amore di Dio, recita il titolo dell’opera. Ma non è l’uomo l’immagine di Dio? Perciò l’opera di Hirst è un inno all’umanità creata, coperta dalla luce divina che la rende splendida. Nel buio assoluto, durante i pochi minuti concessi al visitatore, si ha l’impressione netta di assistere ad una rivelazione. Nell’epoca delle conquista scientifiche, l’uomo si crede dio. Ma è mortale, e il teschio lo rivela. Tuttavia, l’anima che vibra in lui – la luce diamantina – è per sempre. Al contrario del pensiero medioevale e barocco, questo teschio parla di gloria e di speranza.