Damasco – Martedì Santo

Qui si dice che Paolo abbia soggiornato dopo la caduta da cavallo. L'imitazione necessaria dell'apostolo delle genti
Damasco

Tre volte negli Atti degli apostoli è riportato il racconto della conversione di Paolo sulla strada di Damasco. Quella strada che sto percorrendo ora. Parla perfettamente italiano la mia guida Hassan, ed è pure un fervente musulmano, cosicché la rapida passeggiata per le strade di Damasco si rivela una vera benedizione del cielo per la mia curiosità e per il desiderio di comunione con la città e la sua gente.

 

Passeggiare nei quartieri vecchi di Damasco, quasi interamente circondati da mura, a cui si accede attraverso gli ingressi delle bab, le porte di antichissima origine, è un viaggio nella storia millenaria che ha fatto di questo centro la capitale più antica esistente al mondo. Si risale fino al tempo degli egizi, che in alcune loro tavolette hanno riportato il nome di Dimashqa, luogo mitico perché strappato al deserto grazie all’oasi creata ai piedi delle montagne libanesi dal fiume Barada. Tuttavia, recenti scavi nel sito dell’attuale moschea degli omayyadi sembrano attestare una continuativa presenza umana nel sito già dal terzo millennio prima di Cristo.

 

La messa quest’oggi, martedì, la prendo alla casa di Anania, dove si dice che Paolo di Tarso fosse stato accolto dopo la caduta da cavallo. È un santuario, perché qui, o qui vicino, l’apostolo dei Gentili iniziò la sua missione, maturando una delle più note conversioni mai registrate nella storia del cristianesimo. Il giovane francescano che celebra la messa mi suggerisce una chiave di lettura dell’intera settimana: «È sempre più venerdì santo qui da noi».

 

Sì, perché ovunque vada in questa tormentata regione del Vicino Oriente, la precarietà dell’esistenza delle comunità cristiane è evidente. Non solo per la condizione di minoranza in terra musulmana, ma anche per la geopolitica, che ha voluto concentrare in queste terre le sue principali tensioni e contraddizioni. Serve proprio il coraggio manifestato da Paolo-Saulo a queste comunità spesso, anzi quasi sempre, al limite della sopravvivenza.

 

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