Dall’interferenza all’aiuto vero

I recenti avvenimenti hanno riacceso i riflettori sul mondo arabo e sul Medio Oriente. Intervista a Sua Beatitudine Ignace Youssef III Younan, , patriarca siro cattolico di Antiochia.
Youssef Younan

In un Medio Oriente e in un mondo arabo che stanno attraversando una fase di grandi cambiamenti, il «piccolo gregge» di cristiani è chiamato a non avere paura di «testimoniare la verità nella carità». Si potrebbe riassumere in queste parole il cuore del pensiero di Sua Beatitudine – questo il titolo, forse inusuale ad orecchie italiane, ma estremamente significativo – Ignace Youssef III Younan, patriarca siro cattolico di Antiochia. Il patriarcato, con sede a Beirut (Libano), comprende anche le diocesi di Siria, quelle irachene di Baghdad, Mosul e Bassora, Egitto, Gerusalemme (che include Palestina e Giordania), Turchia, nonché quelle della diaspora negli Stati Uniti, Canada e Venezuela. Circa 80 mila persone disperse in tutto il mondo, la cui diversità consente di avere una visione complessiva della realtà cristiana in Medio Oriente. Città Nuova si è fatta dipingere questo quadro direttamente dal patriarca, in occasione della sua visita a Roma per la riunione del Consiglio episcopale del Sinodo per il Medio Oriente.

 

 

Come vivete, all’interno del patriarcato, questa grande diversità tra i fedeli?

 

«Indubbiamente è una grande sfida. Originariamente i siro-cristiani si trovavano solo in Siria orientale e Iraq, ma poi c’è stata l’emigrazione verso la Turchia, il Libano, la Palestina e l’Egitto, nonché verso altre parti del mondo. Ma ci si aiuta l’un l’altro: presto un seminarista andrà ad aiutare un monsignore a Mosul».

 

 

In Libano ci sono 18 confessioni religiose ufficialmente riconosciute: un esempio di convivenza valido per tutto il Medio Oriente, o solo una questione di facciata?

 

«Non direi che la convivenza di tutte le confessioni cristiane e denominazioni musulmane sia solo “di facciata”, ma non è facile. Per quanto i cristiani credano in un Libano in cui c’è posto per tutti attraverso un’equa ripartizione delle cariche, e anche i musulmani si dicano d’accordo con questo principio, non è facile metterlo in pratica. I musulmani hanno di fatto un peso maggiore, e questo crea una situazione di disagio».

 

 

Come sta reagendo il popolo libanese ai movimenti popolari in Medio Oriente e Nord Africa?

 

«Li vede con grande speranza. Il Libano ha vissuto in democrazia, per quanto non perfetta, per quasi ottant’anni: anche se le cariche sono ripartite secondo un sistema confessionale, ci sono comunque libere elezioni, e la gente, come dicevo, crede in uno Stato che sia “per tutti”. Per questo i libanesi sperano in un genuino cambiamento anche negli Stati vicini, e che siano concessi a tutti i diritti civili sulla base del principio di cittadinanza. Meglio parlare di cittadinanza piuttosto che di laicità, perché questo concetto, nel mondo musulmano, è spesso inteso come qualcosa di contrario alla religione, e quindi non capito».

 

 

In diverse interviste ha definito i cristiani in Medio Oriente come “piccolo gregge”: qual è oggi il ruolo di questa minoranza?

 

«Non possiamo ignorare che i cristiani stanno diminuendo di numero in tutta la regione, soprattutto a causa dell’emigrazione. Ma questo piccolo gregge è chiamato a vivere nella speranza e nella fede in Dio che non lo lascia, dando testimonianza alla carità. E questa non può essere separata dalla verità, come ha ben argomentato Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Abbiamo la responsabilità non solo di annunciare il Vangelo, ma di essere “missionari attivi”: nel XXI secolo tutti hanno il diritto di essere cittadini a pieno titolo, e se questo non è riconosciuto da parte di una maggioranza, abbiamo il dovere di richiamarla. Non è sempre facile, perché l’altro potrebbe non essere disponibile a capire. Ma non dobbiamo perdere la fiducia che, se lavoriamo efficacemente insieme, cambi atteggiamento. In Libano i musulmani condividono l’idea di un Paese per tutti, ma in altri Stati, dove i cristiani sono davvero una piccola minoranza, esistono problemi generati dall’ignoranza, dal fanatismo o dalla semplice indifferenza».

 

 

La vastità e varietà del suo patriarcato le consente di avere una visione complessiva della realtà cristiana in Medio Oriente: che messaggio vuole portare ai cristiani di altre confessioni e di altri Paesi, e quale invece vuole dare ai fedeli di quella regione?

 

«Ai cristiani del Medio Oriente dico: non abbiate paura. Il Signore guida i nostri passi, nonostante il dolore e le persecuzioni, e dobbiamo sempre credere che anche chi non condivide la nostra fede è un essere umano che può capirci. Ai cristiani del resto del mondo, chiedo di portare ai loro Paesi il nostro messaggio: oggi ci troviamo in serie difficoltà. Finora abbiamo potuto convivere con la maggioranza musulmana, ma ora dobbiamo da un lato convincere le giovani generazioni a rimanere nelle loro terre per testimoniare il Vangelo, e dall’altro aiutare tutti i cittadini a vivere nella verità e nel rispetto reciproco. E questo deve passare anche per l’aiuto vero delle altre nazioni».

 

Questo viene però spesso bollato come ingerenza…

 

«L’interferenza e l’ingerenza sono motivate da interessi politici ed economici, come purtroppo è spesso accaduto in passato e ancora accade. L’aiuto vero, invece, parte dalla responsabilità dei Paesi che già esercitano i diritti civili di sostenere gli altri nel fare lo stesso».

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