Dalle tenebre alla luce

A Roma una rassegna dedicata al pittore Carlo Mattioli. Una riflessione intima sull'uomo e sulla natura, in una dialettica tra ombre e chiarori
mattioli

È stato un introverso, uno spirito libero. Nessuno l’ha influenzato in modo deciso, lui ha visto tante strade, ma si è tenuto stretta la sua. Che è quella di una riflessione intima sull’uomo e la natura. Carlo Mattioli “una luce d’ombra” è il titolo della rassegna che gli viene dedicata in Vaticano, nel Braccio di Carlo Magno, fino al 13 novembre (catalogo Allemandi). Modenese che ha studiato a Parma dove è vissuto e scomparso nel ’94, Mattioli è stato un pellegrino insaziabile dello spirito. Ribelle anche, caustico, irrequieto. E pure labile, sensibile, talora smarrito. Ma anche forte, nell’inchiodare l’ombra alla luce o , se si vuole, la luce all’ombra. Attilio Bertolucci, grande poeta non da tutti conosciuto a sufficienza, gli ha regalato dei versi bellissimi, parlando di «tutte le piante che abbiamo amato…» in una ode intitolata Rivolgendosi alla propria anima, che è la spiegazione poetica, forse, di tanta parte della pittura di Mattioli. Più che dei ritratti di personaggi come De Chirico o Roberto Longhi, di cose e di paesaggi nei quali la sua anima si innalza, districandosi quasi a fatica dalla materia.

 

Guardo il Cielo di notte a Parma (1970), ed è difficile immaginare un buio più buio, ed una luna più pallida di questa sopra la città padana immersa nell’oscuro. È paesaggio, ma è soprattutto paesaggio intimo: notte oscura del cuore di un uomo solo. Guardo ancora la Notte di luna sull’albero in fiore (1971), e sono preso da uno stupore commosso. Nell’indistinto grigio esplode il candore di un albero: accennato, compresso da pennellate chiare, visione più che descrizione. La luce che si fa strada dall’ombra, la possibilità di vedere oltre la cupezza del dolore. Ma poi Mattioli esprime l’aggressività del carattere, come un fuoco che lo divora, quando passa a contemplare l’estate. I papaveri del 1979, Le ginestre del 1982 sono parole rosse e dorate che emergono come visioni. Pare che la notte della sua anima si converta in luce violenta ma anche delicata, come se da un universo interiore di profondità insondabili si elevi ora, trasformato, un inno alla vita. Negli anni ottanta infatti la pittura si distende, si fa serena, acquista delicatezze “giapponesi”, i suoi autunni sono così teneri da far male, così come i Crocifissi (1987, 1989) sono struggimenti in punta di pennello, larve bianche di amore consumato.

 

Arriviamo qui ala punto centrale dell’arte di Mattioli. La passione per il dolore umano, in particolare per l’innocenza che viene travolta da questo dolore, come nel Cristo, ma anche per l’innocenza in sé. Non si può allora non gioire osservando con quale amore Mattioli abbia dipinto e ridipinto la nipotina Anna. Volto sorpreso che viene fuori dal chiarore. Come a dire, la vittoria della vita.

 

 

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