Dall’azione alla contemplazione
Un testo inedito di Igino Giordani, tratto dal suo ultimo libro, mai pubblicato, "Come in Cielo così in terra", scritto alla fine degli anni '70 e conservato negli archivi del Centro Igino Giordani.
La solitudine, nel silenzio, non spaventi: essa è fatta per proteggere, non per spaurire. La grandezza massima del Cristo è la croce. Mai fu tanto vicino al Padre e tanto vicino ai fratelli come quando, nudo, trafitto, gridò dal patibolo: «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?». Con quella sofferenza redense: in quella frattura ricongiunse gli uomini con Dio. Se il mondo ti estromette, sarebbe illogico e controproducente da parte tua variegare tale estromis-sione con piagnistei; questi dilaterebbero, sino alla pazzia, la tua solitudine. Piuttosto, ascolta quella Voce, per avviarti a colloquiare con Lui. È una Voce che sale dal profondo della tua anima e cala dall’altezza dei cieli. Viene dai pianeti, dal sole, dalla natura, e tu forse non hai ascoltato se non locuzioni artificiose, innaturali, da bigonce nelle piazze. E trasporta una voce profonda: quella dell’autore del cielo e della terra.
Mettiti ad ascoltare. Mettiti a contemplare, dentro il silenzio nel quale Dio parla. È questa, nella giornata della vita, l’ora serotina della contemplazione, quando le creature si raccolgono a fare il bilancio del lavoro compiuto e predispongono l’azione del domani: un domani affondato nell’eternità.
Lo stato di contemplazione non è né inerzia né ipnosi. Esige un’attenzione continua, con una lotta senza quartiere. Ogni colloquio con l’Eterno significa un’emancipazione, a volte crudele, sempre violenta, da seduzioni del mondo, da distrazioni mosse anche da persone che ci amano.
Non si va a Dio, se prima non si rompono le antenne del Nemico. Distacco dal mondo, dunque, e unità con Dio: non separazione perciò dagli uomini, in quanto fratelli, componenti della stessa famiglia divina e umana. Ad essi giova il tesoro di esperienze di chi ha passato l’esame della vita: ma sopra tutto giova quella saggezza, che in religione si chiama santità. Il mistico immette per le arterie del Corpo mistico le virtù della contemplazione: germi di divino, che si espandono per il corpo sociale. Questo ne ha bisogno come non mai. Così consunto, ha bisogno di vitamine dell’Eterno per non crollare nel tempo, sotto le sue macchine. Allora ci si distacca dalle creature per attaccarsi al Creatore: e appartenere interamente a Dio: Dio solo. O si distacca dalle creature per ritrovarle in Dio, dove non si separano più. Messo il Signore – la Trinità – a vivere in te, col suo amore ami le creature: e amarlo è unirsi a loro.
Oggi tu cerchi la loro unità esigendo di essere amato. Passività. E invece l’Amore è attività, iniziativa; dà, non chiede. E perché dà all’uomo, riceve il centuple da Dio. Con lui al centro, i legami non sono più soggetti alle effrazioni dell’ira, della superbia, del capriccio, del calcolo; sono infrangibili, ché l’Amore di Dio genera l’unità, fa l’uno, o questo non si scinde, che è
Gesù stesso, in cui tutti siamo chiamati a unirci e riassumerci. La sapienza sta nel dimenticare il passato, affidandolo al giudizio di Dio; e nel rinunziare al proprio Io, lasciando il vuoto da colmare con lo spirito di Lui.
E siccome Dio è nella quiete, questa si raggiunge più facilmente nella distensione di spirito e possibilmente di corpo di questo periodo, cercando la distensione nello stabilir pace con tutte le creature, perdonando e dimenticando, si ché il pensiero su nessuna si fermi turbandosi, ma tutte aduni nella casa del Signore comunicandosi. Non sono ammessi perciò rancori e crediti… Anche verso quell’antipatico, quell’introverso, quel traditore?… Sì in Dio, che è bene, anche il male concorre alla vita. Il tradimento ci aperse la redenzione. Il tradimento di quel Giuda ci ha fatto vedere i rischi dall’anima, in mezzo al benessere materiale. La deformità ci ha fatto bramare il bello; la stupidità ci ha ricondotti alla Ragione, il Logos, che è Cristo.
In questa stazione ci si incontra con animosi compagni di viaggio, i quali, messi di fronte al dilemma: l’Eterno o il mondo?, scelsero, con sbalordimento di parenti e scandalo di conoscenti, l’Eterno. Essi fecero dell’opera assegnata loro nel tempo una marcia d’appressamento – quasi un assalto all’Eterno e strapparono brani di cielo: così diedero alle generazioni un’idea dell’Infinito.
Paolo, Agostino, Bernardo, Francesco, Tommaso, Dante, Caterina… E poi Giovanni della Croce e Teresa e Pascal o Newman e Manzoni…, per dire alcuni nomi di scalatori… I loro resoconti indicano strade e suggeriscono metodi: comunque l’unione coi loro spiriti suscita in noi già un senso di altezza, in vista delle ascensioni verso il cielo.