Dall’annuncio a Facebook
Intervista a don Domenico Pompili, "uomo dei media" della Cei, per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali.
Don Domenico, lei è iscritto a Facebook?
«No, mi dispiace deluderla, ma non sono iscritto. Sono comunque un “migrante digitale”, perché, tra palmare e monitor, finisco per essere connesso da mane a sera».
La curiosità è legittima perché Benedetto XVI, nel messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, celebrata dalla Chiesa cattolica il 24 maggio, ha voluto mettere al centro il tema “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”.
A cosa è dovuto, secondo lei, il gran successo di Facebook?
«Credo che dipenda dal desiderio di vincere una certa fatica nelle relazioni e che, paradossalmente, la tecnologia facilita perché abbatte qualsiasi barriera ecrea una prossimità psicologica che favorisce la comunicazione».
Sì, ma a quale rischio? Davvero si tratta poi di una prossimità reale?
«Virtuale viene da virtus, cioè una sorta di potenzialità insita nell’interfaccia tecnologica, perché consente una connessione. Il passaggio poi dalla connessione ad una vera e propria forma di relazione chiede al soggetto di coinvolgersi in prima persona. Per cui direi che la tecnologia come tale è una straordinaria possibilità; anzi, come dice il papa, rappresenta un enorme potenziale. Sta poi alla persona – che fa poi la differenza, in questo come in tanti altri ambiti della esperienza umana – far sì che la connessione maturi in una relazione».
Dalla connessione all’amicizia?
«Nel suo messaggio, il papa fa riferimento all’amicizia anche nel campo delle nuove tecnologie. Mi sembra voglia dire che le tecnologie rappresentano oggi un mezzo per favorire una tendenza che è tipica ed insita nello spirito umano, quella cioè di ritrovarsi insieme ad altri, abbattendo gli elementi che possono impedire le relazioni, come la distanza spaziale e temporale. Le nuove tecnologie rendono possibili relazioni tra persone che vivono in contesti culturali e geografici molto differenti, facilitando l’integrazione anche fra diverse culture e civiltà».
Il papa si rivolge ai giovani. Come la Chiesa intende dare spazio a loro?
«Il papa si riferisce ai giovani perché obiettivamente sono quelli più accessoriati dal punto di vista tecnologico. I giovani sono nati e cresciuti grazie e dentro Internet. Sono dei “nativi del digitale”, per cui hanno una grande scioltezza nel loro rapporto quotidiano con la tecnologia».
Ma la Chiesa fa conto su questo enorme potenziale?
«La Chiesa, rivolgendosi alle nuove generazioni, è come se volesse evocare la possibilità di un incontro che oggi è necessario, incontro tra quelli che oggi sono i più attrezzati tecnologicamente e quella fascia di persone che sono invece più sprovviste dal punto di vista digitale, ma sono forse più attrezzate dal punto di vista culturale. Si tratta cioè di favorire l’incontro tra questi due mondi: tra coloro che sanno utilizzare il linguaggio ma rischiano di crearsi una enorme biblioteca nella quale però, mancando di spirito critico, si perdono e coloro che invece non hanno dimestichezza tecnologica, ma sanno dove cercare e trovare le strade giuste. Alla Chiesa il compito di aprire questo dialogo educativo e questa amicizia intergenerazionale».