Dalla pena alla pace

Si può vivere una vita intera senza mai trovare ciò che è più prezioso. Si può vivere l’amore sempre, anche quando si ha una “certa età”. 
Mani di anziana
Sono sempre stata alla ricerca di Dio, aiutata in questo cammino anche dall’ambiente familiare in cui sono nata, profondamente cristiano, dalla sana educazione ricevuta, dai rapporti con cristiani, anche impegnati.

 

Mi sono felicemente sposata, abbastanza giovane; è stato un matrimonio d’amore, dal quale sono nati due figli. Tuttavia non mi sentivo realizzata, né in pace. Dio mi ricolmava di grazie, di talenti, di provvidenza, ma il mio cuore era sempre agitato.

Il mio carattere apprensivo appannava e sciupava il rapporto con mio marito, del quale ero innamoratissima e dal quale ero ugualmente riamata, e con i miei due figli. Scherzosamente mi chiamavano “pena”, ero veramente un’anima in pena. Alla ricerca della pace che chiedevo continuamente a Dio e alla Madonna.

 

Per questo frequentavo assiduamente la Chiesa. Tante riunioni di formazione, pregavo tanto; soprattutto per la conversione dei miei cari, che non capivano, anzi, rifiutavano a ragione il mio modo di impostare la vita cristiana, le mie discussioni accese per convincerli. Sentivo che mi sfuggivano, e mi battevo ancor più in questa sorta di crociata…

 

Un modo nuovo di amare

 

Contemporaneamente avevo conosciuto delle persone che vivevano un cristianesimo diverso dal mio: mi davano la pace, mi capivano, mi sapevano ascoltare. Fui colpita soprattutto dalla loro discrezione: non pretendevano di convertire nessuno.

Mi venne chiesto, un giorno, di ospitare a casa mia un incontro e conobbi una di loro: Giovanna. Rimasi impressionata dalla sua esperienza e al termine dell’incontro le dissi: “Domani è San Pietro, la festa di mio marito. Prega perché anche lui venga con me per questa via”. Lei mi rispose: “Domani ama tuo marito, fagli festa, vai a passeggiare con lui”.

 

Ero attratta da questa strada e lentamente cominciò a crescere in me una visione nuova della vita evangelica che mi dette subito un modo nuovo di amare i miei. In famiglia qualcosa cambiò: si respirava un’aria diversa, meno opprimente.

Quasi improvvisamente arrivò il più grande dolore della mia vita: la perdita, in pochi giorni, del mio consorte. La sua partenza mi mostrò la vanità di tutto: la famiglia, la sicurezza economica, il lavoro, la salute. Tutte queste cose, che fino a poco prima mi erano sembrate roccaforti, apparivano come mezzi che Dio mi aveva dato in amministrazione per amarlo, ma che avrebbe potuto ritirare come e quando voleva.

 

Nel momento della morte di Pierino, quando intorno a me c’era la disperazione e il pianto, ricordo che ebbi la netta sensazione di ascoltare in fondo all’anima una voce che mi ripeteva le beatitudini: “Beati quelli che piangono, perché saranno consolati”.

E nel mio cuore si illuminò la gratitudine per tutto il bene che avevo da Dio e che non avevo visto prima. I miei non mi riconoscevano, venivano per consolarmi e andavano via consolati. Io sentivo in me crescere una forza nuova, frutto dell’unità, dell’amore reciproco, della vita evangelica vissuta insieme. I miei figli, finalmente, dopo venti anni, mi vedevano serena e mi scoprivano ancora giovane.

 

Alcune frasi del Vangelo mi colpivano particolarmente: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù”, “date e vi sarà dato, una buona misura pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata in grembo”, “chi non lascia padre, madre, figli, campi, non può essere mio discepolo”. Da qui nacque l’esigenza di impegnarmi concretamente.

Una casa aperta

Cominciai a guardarmi intorno: la mia casa poteva essere aperta ora a chi ne aveva bisogno per incontri, ospitalità… il mio tempo, dato per aiutare. I talenti, che a mano a mano riscoprivo, non più per me, come un bene gelosamente custodito, ma per la comunità, per i fratelli… i miei beni materiali… scoprivo che avevo tanto da dare e mi sono così sentita libera di dare tutto questo.

 

Seppi che nella comunità c’era una necessità; sarebbe stato facile per me mettere mano al portafogli, ma Dio chiedeva di più. Pensai ai miei gioielli e soprattutto a quelli più cari che mi ricordavano episodi, ricorrenze, compleanni, anniversari… Feci un bel pacchetto e lo consegnai.

Dio, che è immenso anche nella generosità, mi ha dato la luce per farsi ritrovare, mi ha riempito di pace, quella che andavo cercando da tanto tempo, ma soprattutto mi ha fatto capire che la mia vita doveva essere un dono per chi mi stava vicino, e un ringraziamento sempre, anche quando le cose non andavano troppo bene.

 

Poco dopo mio figlio ebbe un gravissimo incidente stradale, si temeva per la sua vita, eppure grazie alle preghiere, ai sacrifici, all’amore di tutti, riuscii con serenità ad affrontare questa grandissima prova. Ricordo che, non appena giungevano le prime notizie positive dalla rianimazione ringraziavo Dio e aprivo il mio cuore alla speranza.

Altre prove, le più varie, a volte umanamente assurde, si sono presentate nella mia vita, ma le ho affrontate sempre con la forza che non veniva da me, ma dalla vita vissuta in unità, con Chiara e con il Movimento dei Focolari.

 

Anni fa i miei genitori si sono ammalati seriamente, tanto da non essere più autonomi. Hanno lasciato il loro paese, la casa, i beni e sono venuti ad abitare con me. La mia scelta non è stata tanto dettata dal dovere filiale, ma dall’amore: “Qualunque cosa avrete fatto al minimo, l’avrete fatta a me”. Intanto Dio mi ha dato la grande gioia di vedere sposati i miei figli e di essere nonna di cinque splendidi nipotini.

La mia vita è un continuo rendimento di grazie a Dio che è Provvidenza e Amore, anche quando la pazienza e le forze vengono meno per le notti insonni, per gli aspetti scomodi, tipici della vecchiaia. A volte sento l’umano in me che reclama: “Vorrei essere libera di uscire, libera di andare a letto quando ho sonno, di mangiare comodamente a tavola insieme ai miei figli, ai miei amici, vorrei, vorrei…

 

Ma arriva puntuale e forte la Sua voce: “Ero malato, debole, vecchio e mi hai custodito, consolato; ero arteriosclerotico, vaneggiavo e mi hai ascoltato”. Allora ricomincio e il mio sì è di ogni momento, soprattutto dopo le sconfitte, perché sento grandissima la Sua misericordia che copre ogni fallimento.

 

 

 

 

 

 

 

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