Dalla parte dei volontari
Nella polemica che si è accesa attorno alla Protezione civile, il punto di vista di chi presta la sua opera gratuitamente: chiede maggior rispetto
Per quanto i toni siano scesi, il dibattito è aperto: che succede alla nostra Protezione Civile?
Se Gabrielli da un lato lamenta che la riforma del 2011 l’ha ridotta ad un «tir con un motore da Cinquecento», mentre sindaci – in testa Alemanno – ed altre figure politiche ne lamentano l’inefficienza, c’è qualcuno a cui questa polemica potrebbe sembrare quantomeno ingrata: ossia le migliaia di volontari che, divisi in varie associazioni, sono disposti giorno e notte a lasciare quello che stanno facendo per intervenire in caso di emergenza. Abbiamo disturbato questa mattina Marco Savi, che opera da dieci anni nell’Associazione Caer, durante il lavoro di pulizia dalla neve in vista della riapertura delle scuole a Rignano Flaminio.
Le misure che, come denunciato da Gabrielli, hanno penalizzato la protezione civile, che ripercussioni hanno avuto sui volontari?
«In realtà non molte: i cambiamenti si sono visti soprattutto a livello organizzativo, per cui mentre prima la maggior parte degli interventi e delle risorse era gestita direttamente dal dipartimento centrale, ora una percentuale maggiore passa attraverso gli enti locali. I quali magari non si coordinano tra loro: in caso di emergenza la prima forza che allertano siamo noi, così capita che ci troviamo convocati contemporaneamente dal comune, dalla provincia e dalla regione. Ma le associazioni sempre quelle sono».
Come state vivendo, da volontari, questo dibattito?
«L’impressione è quella che si stia giocando allo scaricabarile, mentre servirebbe una riforma seria che chiarisca bene i compiti di ciascuno. Noi volontari siamo consapevoli che la Protezione civile si regge in buona parte su di noi, tanto che a volte mettiamo noi stessi nell’associazione i soldi necessari per andare avanti. Ma davvero vediamo come una mancanza di rispetto il fatto che, dato che non siamo stipendiati, sindaci ed altri amministratori ci allertino alla leggera: a Roma c’è stata gente che si è fatta l’intera notte in piedi. Sembra che si ricordino di noi solo quando serve».
A questo punto verrebbe da chiederle chi glie lo fa fare, dopo dieci anni…
«Tutto è nato da quando sono andato, con i giovani per un mondo unito, a dare una mano ai terremotati dell’Umbria. Lì è scattato qualcosa, e così ho cercato un’associazione in cui impegnarmi. Mi spinge la consapevolezza che è una cosa che bisogna fare, che se non la faccio io non la farà nessun altro; oltre al sapere che si è utili, e ad avere ottime opportunità di formazione».
Se Gabrielli da un lato lamenta che la riforma del 2011 l’ha ridotta ad un «tir con un motore da Cinquecento», mentre sindaci – in testa Alemanno – ed altre figure politiche ne lamentano l’inefficienza, c’è qualcuno a cui questa polemica potrebbe sembrare quantomeno ingrata: ossia le migliaia di volontari che, divisi in varie associazioni, sono disposti giorno e notte a lasciare quello che stanno facendo per intervenire in caso di emergenza. Abbiamo disturbato questa mattina Marco Savi, che opera da dieci anni nell’Associazione Caer, durante il lavoro di pulizia dalla neve in vista della riapertura delle scuole a Rignano Flaminio.
Le misure che, come denunciato da Gabrielli, hanno penalizzato la protezione civile, che ripercussioni hanno avuto sui volontari?
«In realtà non molte: i cambiamenti si sono visti soprattutto a livello organizzativo, per cui mentre prima la maggior parte degli interventi e delle risorse era gestita direttamente dal dipartimento centrale, ora una percentuale maggiore passa attraverso gli enti locali. I quali magari non si coordinano tra loro: in caso di emergenza la prima forza che allertano siamo noi, così capita che ci troviamo convocati contemporaneamente dal comune, dalla provincia e dalla regione. Ma le associazioni sempre quelle sono».
Come state vivendo, da volontari, questo dibattito?
«L’impressione è quella che si stia giocando allo scaricabarile, mentre servirebbe una riforma seria che chiarisca bene i compiti di ciascuno. Noi volontari siamo consapevoli che la Protezione civile si regge in buona parte su di noi, tanto che a volte mettiamo noi stessi nell’associazione i soldi necessari per andare avanti. Ma davvero vediamo come una mancanza di rispetto il fatto che, dato che non siamo stipendiati, sindaci ed altri amministratori ci allertino alla leggera: a Roma c’è stata gente che si è fatta l’intera notte in piedi. Sembra che si ricordino di noi solo quando serve».
A questo punto verrebbe da chiederle chi glie lo fa fare, dopo dieci anni…
«Tutto è nato da quando sono andato, con i giovani per un mondo unito, a dare una mano ai terremotati dell’Umbria. Lì è scattato qualcosa, e così ho cercato un’associazione in cui impegnarmi. Mi spinge la consapevolezza che è una cosa che bisogna fare, che se non la faccio io non la farà nessun altro; oltre al sapere che si è utili, e ad avere ottime opportunità di formazione».