Dalla parte dei più deboli

Rimanere, andare, gioire. I tre verbi che papa Francesco affida all’Azione cattolica, da quasi 150 anni protagonista dell’associazionismo italiano, per contribuire alla vita civile del Paese. Il nuovo presidente per il prossimo triennio, Matteo Truffelli, 44 anni,  indica la direzione del suo mandato: l’evangelizzazione, la formazione, la passione per il bene comune
Matteo Truffelli con la moglie Francesca Bizzi

È un tempo favorevole per la Chiesa cattolica, quali sono oggi i primi compiti per l’Azione cattolica?

«Per chi crede ogni tempo è un tempo favorevole. Ogni stagione è stagione propizia per la semina. Certamente, quello in cui viviamo è un tempo di grande speranza, oserei dire di più, è un tempo fortunato. Viviamo una stagione davvero bella, avvincente, della Chiesa. La semplicità e la profondità dei gesti e delle parole di papa Francesco sono capaci di aprire il cuore delle persone. Proprio per questo, però, il nostro è anche un tempo molto esigente. La Chiesa che papa Francesco ci indica è una “Chiesa in uscita” e, come conseguenza, la nostra associazione non può che essere una Azione cattolica “in uscita”, come abbiamo affermato con forza nella nostra recente assemblea. E incontrandoci proprio il Papa ci ha dato tre compiti, tre verbi che vogliamo coniugare tutti insieme in questi anni: rimanere con Gesù, andare per le strade incontro all’uomo, gioire perché amati dal Signore. Penso che questo significhi farci vicini alle persone per prenderci cura della loro vita spirituale, accompagnarle in un percorso di formazione integrale capace di far maturare coscienze vive e responsabili, capace di formare bambini, ragazzi, giovani e adulti consapevoli della propria ricca umanità e della propria vocazione alla santità; ancora, credo che essere “Chiesa in uscita” significhi per noi contribuire in maniera fattiva, aperta e serena alla vita civile del nostro Paese; e poi farci carico delle sofferenze di chi ci è vicino e di chi vive lontano, accompagnando le fatiche della quotidianità.  

Nei prossimi anni che profilo s’immagina per l’Azione cattolica. In quali campi intende “investire”?

«In un certo senso si potrebbe dire che non abbiamo grandi scelte da fare: il primo e fondamentale ambito del nostro impegno è e continuerà ad essere quello stesso della Chiesa tutta: l’evangelizzazione. E questo significa innanzitutto abitare e animare in modo responsabile la vita delle nostre comunità parrocchiali, delle nostre diocesi, del territorio in cui siamo. Significa anche continuare a investire nella formazione. Oggi dovremo essere ancora più attenti a intersecare la vita concreta delle persone, valorizzando la nostra dimensione popolare. La riflessione sugli itinerari formativi è una attenzione da riprendere, proprio per renderli sempre più adeguati ai tempi, alla vita di chi incontriamo. Un’altra direzione lungo la quale vogliamo continuare a camminare con convinzione ma anche con la creatività necessaria per andare in cerca di nuove strade da percorrere, inoltre, è rappresentata senz’altro dall’impegno nel coltivare la passione per il bene comune, per il nostro Paese».

Papa Francesco ha detto a proposito di san Giovanni XXIII di essere “una guida guidata”. Che tipo di invito può rappresentare per il suo mandato?

«In Azione cattolica custodiamo in modo prezioso la dinamica che fa sì che, ogni tre anni, si eleggano i nuovi responsabili dell’associazione e i consigli, in modo da tenere insieme democrazia e legame con la Chiesa. Credo, quindi, si possa dire che nessuno è solo in AC, nemmeno il presidente nazionale, perché la dinamica associativa è fatta apposta per essere inclusiva e per far emergere la ricchezza della corresponsabilità tra laici e presbiteri assistenti. Si prega, si discute, si decide insieme, cercando un discernimento comunitario che faccia il bene di tutti. Voglio dire che la guida che ricerchiamo è, e non può non esserlo, quella della fedeltà al Signore e al Suo Spirito. Allora il mio mandato si colloca in questa storia, che ha ormai quasi 150 anni, in cui l’AC cammina insieme per rispondere alla comune chiamata alla santità».

Come può proseguire la collaborazione con le altre associazioni e movimenti ecclesiali?

«Già in queste prime settimane ho avuto modo di sperimentare la vicinanza fraterna che c’è, pur nella varietà delle caratteristiche, tra movimenti e associazioni diverse. Nel corso degli ultimi anni l’AC ha camminato in modo sempre più familiare con le altre realtà ecclesiali, e questo rappresenta una grande ricchezza, che non va perduta ma, anzi, va ulteriormente valorizzata. Continueremo dunque a lavorare per consolidare l’amicizia e la stima reciproca. Credo anche che si possa fare un ulteriore passo in avanti nella valorizzazione di esperienze e organismi di raccordo e di lavoro comune già esistenti, a partire dalle consulte delle aggregazioni laicali diocesane. Non dimenticherei, poi, la ricchezza che ci può venire da una consuetudine di rapporti con le altre Chiese del mondo. Da questo punto di vista l’Azione cattolica vive da tempo un’esperienza molto significativa attraverso il FIAC (Forum Internazionale di AC), che raccoglie le AC di diversi continenti: una bella esperienza ecclesiale, che fa crescere frutti buoni per la vita associativa attraverso esperienze e gemellaggi».

Quali sono i principali “mali” italiani a cui i cristiani devono rispondere?

«Mi viene spesso in mente una frase pronunciata quasi cinquant’anni fa da Vittorio Bachelet, presidente “storico” di AC e “martire laico” caduto sotto i colpi della violenza folle del terrorismo, una violenza figlia dell’ideologia: «Questo nostro tempo non è meno ricco di generosità, di bontà, di senso religioso, di santità, persino, di quanto non lo fossero altri tempi passati. […] Questo nostro tempo non è meno povero degli altri per le infedeltà, le immoralità nella vita morale privata e pubblica, in quella personale e in quella amministrativa, la irreligiosità e anzi la lotta alla religione, a Dio stesso». Certamente il nostro è un tempo difficile, complesso, nel quale sembra predominare l’incertezza del futuro. L’individualismo esasperato, il progressivo indebolirsi di riferimenti etici comuni, i solchi tra ricchezza e povertà acuiti dalla crisi e dal lavoro che manca, la corruzione che continua a dilagare e ad agire come un virus nella nostra società e nelle istituzioni… Il nostro impegno, come laici di AC presenti in modo appassionato nel nostro tempo, non può che partire dalla vita concreta delle persone e dal metterci, senza compromessi, dalla parte dei più deboli, cercando di testimoniare la bellezza del fare famiglia e quella dell’educare le nuove generazioni, raccontando la pienezza di umanità che nasce dal coltivare legami buoni tra le persone: legami di solidarietà, di amicizia, di libertà. Credo che da questo punto di vista proprio l’essere associazione sia un modo di stare nel nostro tempo quanto mai profetico, un modo per introdurre anticorpi sani nella società e nella cultura esasperatamente individualistica del nostro Paese».

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