Dalla parte dei bambini
New York. C’era un fermento nell’aria quando delegazioni governative, rappresentanti di Ong, capi di stato ed una schiera di fotografi e giornalisti entravano nel Palazzo di vetro per la sessione speciale dall’8 al 10 maggio scorso. Alti i controlli di sicurezza, strade aperte e chiuse ad intermittenza, borse e pacchi controllati da cani accanto ai loro padroni poliziotti ben armati. Lunghe file per ottenere pass e permessi d’accesso. La sessione speciale, la ventesima indetta dall’Assemblea generale dell’Onu negli oltre 50 anni della sua esistenza, avrebbe dovuto aver luogo lo scorso settembre per dare la possibilità ai leader del mondo di prendere in esame la situazione dell’infanzia, l’applicazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia approvata nell’89, ed i progressi raggiunti a seguito del Summit mondiale sull’infanzia del 1990. Ma c’è stato l’11 settembre. “Il mondo non è riuscito a raggiungere i traguardi posti dal summit sull’infanzia – scrive Annan nella sua relazione – non perché fossero troppo ambiziosi o tecnicamente impossibili, ma primariamente per insufficiente investimento”. Il peso del debito internazionale e la mancanza di assistenza verso paesi in via di sviluppo sono tra le ragioni considerate dal documento. Nonostante l’aumento del numero di bambini che usufruiscono di istruzione scolastica ed il declino della polio e di alcune malattie infantili, un bambino su 12 ancora non raggiunge i 5 anni, anche come conseguenza della “inimmaginabile devastazione” provocata dall’Aids. Così i 12 anni trascorsi dalla precedente assemblea han dovuto registrare numerose omissioni rispetto agli impegni presi. Su 2,1 miliardi di bambini che costituiscono il 36 per cento dell’umanità, 1 su 4 vive in estrema povertà, 1 milione sono rimasti orfani, 4 milioni hanno subìto mutilazioni, 2 milioni sono rimasti uccisi negli ultimi 10 anni. Ogni 3 secondi un bambino muore di povertà. Con queste cifre e con altri grossi problemi si sono dovuti confrontare i 60 capi di stato e di governo, le 180 delegazioni governative e gli oltre 3000 delegati di organizzazioni non governative, compreso un numero record di giovani (oltre 400). “Questa non è una semplice sessione speciale sui bambini – ha esordito il segretario generale dell’Onu durante la cerimonia di apertura -. È un incontro che affronta il futuro dell’umanità. Ci incontriamo qui perché non c’è argomento più unificatore, più urgente e più universale del benessere dei bambini. Non esiste altro argomento più importante di questo”. Momenti del programma hanno coinvolto direttamente i giovanissimi. L’Unicef ha sponsorizzato all’inizio di maggio un “Forum dei ragazzi”, in cui ragazzi da ogni parte del mondo hanno discusso insieme argomenti che riguardano il loro futuro. Il messaggio conclusivo dei tre giorni del forum è stato poi letto all’apertura della Sessione speciale. “Noi non siamo fonte di problemi, ma le risorse necessarie per risolverli – si leggeva nel messaggio -. Noi siamo i ragazzi del mondo, e malgrado le diverse provenienze, condividiamo una stessa comune realtà: siamo uniti nello sforzo di rendere il mondo migliore per tutti”. Durante i lavori della sessione, hanno poi avuto luogo anche altri momenti che coinvolgevano direttamente i ragazzi. Nel corso dei lavori, gli stati membri dell’Onu hanno studiato l’adozione di 21 nuovi obiettivi, riguardanti tra l’altro l’educazione, la salute, la protezione di minori da violenza e sfruttamento, la lotta all’Aids e la necessità di fornire a future madri un’assistenza sanitaria sicura. Il documento conclusivo, Un mondo per i bambini, elaborato in tre sessioni preparatorie, è stato poi rivisto ed approvato, non senza momenti di sospensione, dai rappresentanti dei circa 180 paesi partecipanti. L’apporto alla sessione speciale da parte del mondo religioso è stato notevole. Il 7 maggio, ad un simposio organizzato dalla Wcrp in collaborazione con l’Unicef, esponenti delle principali religioni si sono incontrati con dirigenti dell’Onu. Presenti tra gli altri l’arcivescovo di Canterbury, George Carey, lo sceicco di Al-Azhar, Mohamed Sayed Tantawi, il gran rabbino René Sirat della conferenza dei rabbini europei, il cardinale Lopez Trujillo, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Il sig. Takeyasu Miyamoto, presidente della fondazione giapponese buddhista Arigatou, ha affermato: “Adulti a livello locale trasmettono valori, tradizioni e cultura ai bambini, ma a livello globale è il bambino che sostiene le nostre speranze e mantiene vivo il potenziale della pace”. I RAGAZZI PER L’UNITÀ ALL’ONU Il segno più tangibile della speranza in un futuro migliore per i bambini erano i ragazzi stessi. Il loro entusiasmo e le loro voci gioiose riecheggiavano nei corridoi degli edifici dell’Onu e agli angoli delle strade vicine. Ma, ancor più impressionante era il livello di impegno e serietà con cui ogni ragazzo vedeva il suo ruolo alla sessione speciale. Abbiamo intervistato quattro rappresentanti del movimento Ragazzi per l’unità che hanno partecipato ai lavori di questa conferenza. “È formidabile incontrare giovani e adulti di ogni razza, cultura e provenienza – commenta Federico Sartorico, siciliano di 16 anni -. Sono venuto con l’impegno di far conoscere il nostro messaggio, che un mondo più unito e più in pace è possibile, ma anche con il desiderio di ascoltare e imparare dagli altri”. Ale Ontiveros Olguin, boliviana di 16 anni, vuole impegnarsi per aiutare la sua gente. “La mia vita è cambiata quando ho incontrato i Ragazzi per l’unità cinque anni fa – mi dice -. Non volevo più credere in Dio, ma quando ho incontrato altri ragazzi che ci credevano e volevano vivere per un mondo unito, ho trovato un enorme tesoro”. Anche il brasiliano Christian Sebok e Joyce Murrey di Washington, 16 anni, le fanno eco. “Come adolescenti, noi ci interessiamo tantissimo a quello che succede nel mondo e vogliamo dare il nostro contributo”. Questi ragazzi sono arrivati all’Onu con uno strumento in mano: un messaggio preparato nel giugno 2000 in Giappone, assieme a 213 altri giovani di 40 paesi a conclusione dei quattro giorni di lavoro della “Conferenza per le future generazioni”, sponsorizzata dalla fondazione buddhista Arigatou, in cooperazione con il Movimento dei focolari e con l’Unicef. Giovedì 9 maggio, mentre i capi di stato e governo erano occupati alla redazione finale del documento conclusivo della sessione speciale, 45 giovani dai paesi più vari (Sri Lanka, Azerbaijan, Israele, Giappone, Tanzania tra gli altri) hanno lavorato intensamente a preparare il programma della tavola rotonda, aperta a tutti, che si sarebbe tenuta il giorno seguente. Erano tutti decisi a presentare le loro idee e la loro visione di un futuro di pace, di un mondo migliore. Il programma di due ore, intitolato “Per il nostro futuro: discussione tra ragazzi”, appariva nell’elenco ufficiale di conferenze e incontri della sessione speciale. Al momento solenne in cui le 324 mila firme raccolte finora in sostegno al messaggio preparato nel 2000 sono state presentate a Hironobu Shibuya, consigliere speciale del direttore esecutivo dell’Unicef, è seguita una presentazione da parte di un pannello di giovani, suscitando poi un vivace scambio di domande ed idee con i partecipanti. In risposta ad un adulto su come cambiare idee e prassi dei governi, il brasiliano Christian ha detto: “Non siamo qui per discutere strutture governative. Noi ragazzi abbiamo capito che dobbiamo prima iniziare a cominciare noi stessi, qui ed ora, a costruire il futuro “. Ed un altro ha continuato: “Abbiamo compreso che se tutti noi giovani e ragazzi obbedissimo alla “regola d’oro” – “Fate agli quello che vorreste fosse fatto a voi, non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi” (Luca 6,31) – menzionata nel nostro messaggio, quest’idea si diffonderebbe presto in tutto il mondo. E noi iniziamo dove siamo: nelle scuole, con gli amici, nelle nostre famiglie, nel nostro ambiente”. “Oggi qui ho visto la speranza per il futuro”, ha commentato il rappresentante di una Ong al termine dell’incontro.