Dalla nube radioattiva a un piano globale

I timori per le ripercussioni in Italia dell’incidente in Giappone si sono rivelati infondati, ma le domande sul nucleare rimangono aperte: ne parliamo col prof. Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare.
Roberto Petronzio

Il pensiero di chi c’era corre a Chernobyl: ma la nube radioattiva dal Giappone annunciata oggi in arrivo sull’Italia non ha nulla a che vedere con quella dell’epoca. L’Ispra, infatti, conferma oggi che le variazioni nel livello di radioattività sono così deboli da non essere nemmeno registrate dagli strumenti. L’incidente in Giappone, però, solleva domande più vaste. Le rivolgiamo al prof. Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e docente ordinario di fisica teorica all’Università Tor Vergata di Roma.

 

 

Conferma il fatto che il rischio costituito da questa nube è irrilevante?

 

«Assolutamente, e lo confermano anche rilevazioni più sofisticate fatte negli Stati Uniti: se volessimo fare un paragone, si potrebbe dire che il pericolo è lo stesso posto da una buca sulla strada dello spessore di un capello. Anche in quanto ai cibi, non c’è da preoccuparsi: vengono controllati già all’origine in Giappone, e infatti è stata vietata la vendita di quelli contaminati».

 

 

Il governo giapponese è stato però accusato di aver minimizzato il rischio…

 

«La reazione è stata proporzionata alla gravità dell’incidente: è stata evacuata la zona attorno alla centrale, alla gente è stato chiesto di stare in casa e di assumere eventualmente pastiglie di iodio, e così via. Certo alcune persone sono state contaminate e i terreni circostanti saranno inutilizzabili a fini agricoli per molti anni; ma sarebbe potuta andare molto peggio, se la centrale non avesse retto al terremoto».

 

 

La Germania ha bloccato la costruzione delle centrali, e anche in Italia è stata decisa una moratoria di un anno: un’utile pausa di riflessione o una reazione emotiva?

 

«È giusto interrogarsi su un piano energetico globale, con ragionamenti non solo sull’impatto economico diretto, ma anche indiretto: per fare un esempio, se puntassimo solo sul carbone, le conseguenze dell’effetto serra sarebbero disastrose anche in termini monetari. Proprio perché la costruzione delle centrali e la ricostruzione della filiera di competenze richiedono molti anni, è necessario che questo piano sia a lunga scadenza, e consideri in prospettiva anche la fusione nucleare, che prima o poi arriverà, e le energie alternative. Una pausa di un anno può aiutare a valutare tutto questo una volta chiarito l’impatto dell’incidente in Giappone, evitando appunto l’onda emotiva che ora si fa sentire sull’opinione pubblica allargata».

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