Dalla Libia a Trento

300 giovani profughi accolti nel Trentino. Tra drammi e disperazione, vince il saper fare rete anche nella solidarietà
Profughi libici

Eran trecento, erano giovani e forti ed erano vivi e libici. Non tutti originari della Libia, ma immigrati in Libia o in Egitto, per cercare lavoro, provenienti dalla vasta fascia dei Paesi del Sub Sahara.
 
Un anno fa era ancora in corso la guerra che ha condotto alla fine del regime e alla morte di Gheddafi lasciando come eredità una lunga scia di terrore e violenze non ancora sopite del tutto. In 300 provenienti anche da vissuti drammatici di carcere, discriminazioni, torture, riescono a fuggire, anche senz’acqua, sulle carrette del mare per approdare nella terra promessa di Lampedusa. Da qui smistati in tutta Italia, in piena emergenza per l’invasione di immigrati.
 
In 300, in varie ondate, sono destinati a Rovereto, nel Trentino. Un campo, con tanto di recinzione, li accoglie. È già qualcosa per chi fugge dalla guerra, almeno sono sopravvissuti, ma non basta. Annamaria, Mario, Armida, Claudio,  Stella, Elisabetta, Mimmo, Concetta, Antonio, Flo, Ilaria …e tanti altri non ci stanno. Vogliano fare di più.  Alcuni dei membri dei Focolari con l’Associazione Acav, sollecitati anche dal centro informativo per l'immigrazione (Cinformi) dell'assessorato alla solidarietà internazionale e alla convivenza della Provincia autonoma di Trento, si mettono in moto per agire una volta passata l’emergenza della prima accoglienza.
 
I 300 provenienti dalla Libia, infatti, sono smistati in tanti paesini della provincia e, mentre, nei piccoli centri l’inserimento è riuscito, in città è più complicato. «A Trento ‒ racconta Stella Bozzaretti dei Focolari ‒ 30 rifugiati sono collocati in vari appartamenti della Provincia, ma nessuno sa dove risiedono. Li abbiamo cercati e trovati per conoscerli e favorire l’inserimento».
 
Vogliono promuovere una cultura dell’accoglienza contro una cultura dei respingimenti, coinvolgono altre associazioni per fare un gioco di squadra: la Caritas, il Forum trentino per la pace, Migrantes, Limen, la circoscrizione di Trento San Giuseppe e Santa Chiara. Fare rete contro la paura, le diffidenze, l’indifferenza perché solo insieme si può. «Lo scopo era ‒ spiega Elisabetta Bozzaretti, direttrice di Acav, ‒ unire le associazioni per far vedere la bellezza della solidarietà».
 
La prima necessità sorta per contribuire a inserirli è conoscere la cultura del posto. Corsi di italiano per stranieri, serate culturali, momenti formativi, perfino una cena natalizia con 100 persone, sono i primi passi decisivi per favorire la conoscenza e l’apertura reciproca.

Il regista Vittorio Curzel, giornalista e docente, ha presentato i suoi documentari sui drammi dei trentini, dalla guerra alle migrazioni in terre straniere: sono occasione di dibattito, di condivisione di esperienze, di percorsi comuni nella storia e nell’oggi.

Tutti e 30 i “libici” hanno partecipato. Alcuni di loro, per ragioni politiche, non possono più rientrare nei propri Paesi. In Italia per la legge Bossi‒Fini possono restare solo un anno senza poter lavorare, neanche come volontari. Trascorso l’anno, questo è il paradosso, se non hanno un lavoro o non ottengono l’asilo politico saranno espulsi. Alcuni hanno già ricevuto una lettera di espulsione. Un’associazione, Melting Pot, ha indetto una raccolta nazionale di firme per evitare le espulsioni e farli permanere in Italia per motivi umanitari. Un gruppo di avvocati collabora per risolvere i casi e ad alcuni di loro è stato prolungato il permesso di soggiorno per altri 6 mesi.
 
La novità è che alcuni di loro hanno trovato la possibilità di collaborare come boscaioli per la stagione estiva. Un mestiere duro che nessuno vuole più fare. Una cooperativa li ha coinvolti e faranno anche un corso di formazione. Uno dei problemi sono le distanze. Non si può andare e tornare in giornata da Trento ai luoghi di lavoro nelle valli e nei boschi. Così Ilaria ha pensato di dare la sua casa di vacanze ai giovani immigrati. «Mancavano anche gli scarponi per boscaioli ‒ racconta Anna Maria Manna ‒ un numero 42. In un giorno ne sono arrivati 3. Si vede che ancora non abbiamo perso l’abitudine a dare!». Come in un famoso episodio accaduto a Chiara Lubich a Trento, quando agli esordi del nascente movimento dei Focolari, chiese e ottenne un paio di scarpe numero 42 per un povero che aveva incontrato. Se le cose sono fatte bene i trentini non aprono solo la porta ma anche il portone e il cuore.
 

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