Dalla divergenza alla convergenza

Sul vertice di Copenaghen il mondo intero ripone sempre più speranze. Per questo le richieste alle autorità che vi partecipano si fanno sempre più pressanti. Ma finora hanno tenuto banco soprattutto i disaccordi: rimangono pochi giorni per andare oltre.
Copenhagen

Il mondo sta guardando a Copenaghen. Secondo il sito Treehugger.com, il nome della città danese è il più ricercato su Google, in occasione del vertice sul clima. Anche le frasi "cambiamento climatico" e "riscaldamento globale" sono tra le più richieste. Durante la prima settimana di trattative, al di là delle tensioni tra i Paesi partecipanti, diverse manifestazioni della società civile hanno evidenziato la grande speranza di raggiungere un accordo che porti risultati efficaci.

Il primo giorno del summit l’attenzione è stata richiamata da un editoriale collettivo, pubblicato da 56 giornali guidati dall’inglese The Guardian in 44 Paesi, che chiede un’unione di tutti i capi di Stato per lo sviluppo sostenibile.

Nel testo, pubblicato in Italia su La Repubblica, si legge che «il cambiamento climatico, prodotto nel corso di secoli, ha conseguenze che dureranno per sempre e le possibilità che abbiamo di controllarlo saranno determinate dai prossimi 14 giorni. Ci appelliamo ai rappresentanti dei 192 Paesi riuniti a Copenaghen affinché non esitino, non si lascino prendere la mano dalle controversie e non si accusino reciprocamente, ma ricavino delle opportunità dal più grande fallimento della moderna politica. Si dovrebbe evitare una lotta tra il mondo ricco e quello povero o tra Occidente e Oriente. Il cambiamento climatico colpisce tutti e deve essere risolto da tutti».

Sabato 12 dicembre circa 40 mila persone – ma gli organizzatori parlano di 100 mila – hanno sfilato per le strade di Copenaghen fino al centro congressi dove si tiene la conferenza, premendo per un nuovo accordo che freni il riscaldamento globale. La maggior parte dei manifestanti ha trasmesso il messaggio in modo pacifico, portando striscioni e cartelli con slogan come “non abbiamo un piano B”, “il tempo non può aspettare” e “cambiare la politica, non il clima”, ma purtroppo alcuni atti di vandalismo hanno portato all’arresto di centinaia di persone.

Il 13 dicembre l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, Nobel per la pace nel 1984, ha consegnato pubblicamente a Yvo de Boer, segretario esecutivo della conferenza, una petizione lanciata dalle Ong Avazz, 350, e Tck su internet. Il documento, firmato elettronicamente da migliaia di persone in tutto il mondo, chiede un vero e proprio accordo per ridurre il riscaldamento globale. «Non ci saranno vincitori e vinti, saremo tutti vincitori o vinti», ha affermato l’arcivescovo.

Domenica 13 le chiese di tutto il mondo, su iniziativa del Consiglio mondiale delle Chiese cristiane, hanno suonato le campane 350 volte in segno di preghiera per le negoziazioni di Copenhagen. Il numero dei rintocchi si riferisce alle 350 parti per milione che sono, secondo molti studiosi, il limite massimo di sicurezza di Co2 nell’atmosfera.

Negoziazioni

 

Tuttavia, nonostante queste e altre manifestazioni della società civile, le prime negoziazioni sono state caratterizzate da tensioni tra Paesi ricchi e poveri. Una grossa polemica è nata dopo la pubblicazione, da parte del quotidiano The Guardian, di un progetto di accordo elaborato segretamente dai rappresentanti di Stati Uniti, Regno Unito e Danimarca, noto come “Testo Danese”. Secondo il giornale, il progetto aumenterebbe il potere dei ricchi e ridurrebbe l’autorità delle Nazioni Unite nelle future negoziazioni sui cambiamenti climatici, spostando l’autorità alla Banca Mondiale. Il documento si discosta dai principi stabiliti dal protocollo di Kyoto, proponendo, per esempio, che i Paesi ricchi abbiano una media delle emissioni di carbonio pro capite quasi doppia rispetto a quella dei Paesi in via di sviluppo.

La reazione è stata immediata. In una conferenza stampa tenutasi mercoledì 9 dicembre Lumumba Di-Ping, presidente del G77 (gruppo di Paesi in via di sviluppo) ha affermato che il testo costituisce «una violazione grave che minaccia l’intero processo di negoziazione di Copenaghen». Il segretario esecutivo della Unfccc, Yvo de Boer, ha cercato di appianare i contrasti e ha detto in un comunicato stampa: «Questo documento è stato distribuito informalmente ad alcune persone prima dell’inizio della conferenza, con uno scopo consultivo. Gli unici testi formali nei processi delle Nazioni Unite sono quelle presentate dai presidenti di questa conferenza, su richiesta delle parti».

D’altra parte ha richiamato l’attenzione la posizione assunta dall’Unione Europea, che ha messo a disposizione circa 7,2 miliardi di euro per finanziare nei prossimi tre anni la lotta contro il riscaldamento globale nei Paesi in via di sviluppo. La chiarezza da parte dei Paesi ricchi nella disponibilità di quel denaro è considerata cruciale da Yvo de Boer, segretario esecutivo della Convenzione quadro, che ha lodato l’azione europea. L’offerta corrisponde a poco più di un terzo del valore considerato necessario da parte della Unfccc.

La risposta del G77 all’annuncio europeo non è stata entusiasta. Lumumba Di-Ping ha giudicato l’importo insignificante rispetto alle centinaia di miliardi di dollari investiti per risolvere la crisi finanziaria e per la difesa, mettendo in dubbio la reale preoccupazione dei Paesi ricchi per il riscaldamento globale. Di-Ping ha auspicato la creazione di meccanismi per gli investimenti a medio e lungo termine e ha proposto l’utilizzo dell’1 per cento del Pil dei Paesi sviluppati nel corso dei prossimi 5 anni (circa 400 miliardi di dollari l’anno) e il 5 per cento del Pil mondiale entro il 2050.

 

 

Convergenza

 

Un tema che unisce Paesi sviluppati e in via di sviluppo in questa conferenza è il programma Redd (Reducing emissions from deforestation and forest degradation in developing Countries), che mira a conservare, con finanziamenti internazionali, le foreste nei paesi in via di sviluppo attraverso la riduzione delle emissioni di carbonio provenienti dagli incendi boschivi. Una sua peculiarità, che è fattore di consenso, è il mantenimento della biodiversità e la non-conversione delle foreste in monocoltura.

In questa seconda settimana di trattative le divergenze dovrebbero essere sostituite dalle convergenze come questa, se si vuole raggiungere un efficace accordo globale sul cambiamento climatico. Molti eventi in tutto il mondo, mostrano che la società civile non aspetta niente di meno. «Una striscia della speranza, di colore verde e brillante, è stata sollevata dai cittadini, attivisti e organizzazioni non governative» ha detto il primo ministro danese Lars Løkke Rasmussen. La questione è se i 110 capi di Stato che arriveranno a Copenhagen il prossimo venerdì saranno in grado di vederla.
 

(Con le informazioni dal sito ufficiale http://en.cop15.dk COP15)

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