Dalla differenza alla reciprocità

Nella società di oggi è superata una rigida distinzione di ruoli tra femminile e maschile. Ma l’affer­mazione dell’uguaglianza  non deve annullare la differenza, che va riconosciuta e ri­spettata, perché consente l’alleanza e la possibile reciprocità. La riflessione di Daniela Notarfonso nel dossier GENDER di Città Nuova.
Gender

Mai come in questa epoca di confusione valo­riale e di decostruzione delle certezze del passato, le differenze tra maschile e femminile sono state messe in discussione. Sulle macerie di rigidi ruo­li sociali precostituiti e considerati spesso come gabbie che imprigionano la libertà, l’affermazione di una uguaglianza, presunta senza differenza, sta causando una profonda crisi di identità su cosa, davvero, sia rimasto del maschile e del femminile.

 

E forse mai come in questa epoca, la relazio­ne uomo-donna è stata spesso ridotta a luogo di un conflitto perenne, rischio di sopraffazione re­ciproca, lasciando spazio solo al perseguimento della realizzazione personale, che considera l’altro come oggetto per la ricerca esasperata del piacere, slegato da ogni legame affettivo. Non possiamo ta­cere, infatti, le cronache quasi quotidiane di episo­di di violenza, fisica, psichica e sessuale perpetrate ai danni delle donne spesso in ambito familiare, terribile scenario della quotidianità di molti uomi­ni e donne di tutte le età e nazionalità.

 

Le conquiste femministe negli ultimi cento anni hanno cambiato completamente i destini del­le donne: oggi hanno accesso allo studio, possono svolgere gli stessi lavori dei maschi, hanno una vita sessuale libera e svincolata dalla procreazione. Ma sono davvero più libere? Molte esperienze pur­troppo ci dicono di no.

 

Da 12 anni lavoro in un consultorio familiare e il panorama che mi si presenta di fronte è spesso disarmante: molte ragazzine hanno i primi rappor­ti sessuali a 14 anni, in caso di separazione l’onere educativo e di gestione dei figli è quasi sempre a carico della donna; la contraccezione è un proble­ma solo femminile; l’aborto è sempre vissuto come una scelta obbligata che la donna vive da sola; la maggior parte delle donne lavora fuori casa per contribuire all’economia familiare, ma poi sostiene completamente anche la gestione della casa.

 

Si vivono cioè spinte contraddittorie che van­no da una vaga idea di emancipazione sessuale e professionale, a orizzonti di provvisorietà relazio­nali dove le spinte individualiste, molto presenti nella nostra società, rendono i rapporti estrema­mente fragili lasciando le donne alla fine sempre più sole. Non è meno problematica la situazione degli uomini che, forse più delle donne, vivono una crisi di identità. Dopo aver rifiutato la figura del padre padrone, stentano a declinare un nuovo modo di essere maschi e sembra che per ora l’unica strada sia una fuga dalle responsabilità coniugali e pater­ne che conduce inevitabilmente a un’assenza.

 

Troppo spesso, anche a causa dell’aumento delle separazioni e dei divorzi che le indagini sta­tistiche ci consegnano ogni anno, i figli crescono solo con la madre mentre il padre, volente o no­lente, è una figura che rimane sullo sfondo. […] È indispensabi­le che gli uomini e le donne imparino che l’affer­mazione dell’uguaglianza nella dignità non deve annullare la differenza, che va riconosciuta e ri­spettata perché consente l’alleanza e la possibile reciprocità.

 

«L’educazione al senso dell’altro e al senso della differenza tra l’uomo e la donna è il punto nodale della scoperta del vero senso dell’alterità. La specificità maschile e femminile non va con­siderata come un limite da superare, bensì come una ricchezza da valorizzare per la felicità propria e altrui. Il luogo dove tutto ciò si realizza nel modo più pieno è la famiglia. C’è un quid che appartiene alla natura umana, che conosce due modi propri di manifestarsi: nella femminilità o nella mascolinità.

 

Questo non prevede la ricerca nell’altro della sua “metà”, ma lo stabilire un rapporto arricchen­te in cui «due persone già complete entrano in donazione superandosi reciprocamente». Tale rapporto genera poi una crescita nell’umanità di ciascuno, perché «l’identità non è solo espres­siva (tiro fuori ciò che già sono), ma relazionale». È grazie alla relazione che la differenza offerta e donata per amore diventa base per un’alleanza ge­nerativa e feconda.

Da Gender di Susy Zanardo. Contributi di: Paola Binetti, Livia Turco, Daniela Notarfonso (Città Nuova, 2016)

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