Dalla costa d’Adamo

La costa. Tanto si è discusso e si discute sul significato di questa parola; non manca chi, come sant’Agostino, da l’interpretazione letterale al racconto, facendo un paragone con Maria: Sicché il Padrone poté nascere da una serva, mentre una serva non lo poté da un servo? (1). Attualmente gli studiosi si dividono in due categorie: quelli che vedono il racconto come allegorico esprimente però un fatto reale, e quelli che colgono solo un significato simbolico. I primi sono confortati da una risposta della Pontificia commissione biblica del 30 giugno 1909, la quale, al paragrafo terzo, afferma che non si può mettere in dubbio il senso storico dei fatti che toccano le fondamenta della religione cristiana. Fra tali fatti viene messa la formazione della prima donna dal primo uomo. Il secondo gruppo di teologi parla di interpretazione figurativa. Nel racconto vi sarebbe un puro simbolo per spiegare l’identità di natura esistente tra l’uomo e la donna. Tutt’al più, si potrebbe ammettere che Adamo sarebbe stato, per la creazione di Eva, la causa esemplare. Le ragioni che portano sono queste: 1) il decreto della Pontificia commissione biblica del 1909 va interpretato alla luce dei documenti che sono seguiti, fra i quali particolarmente interessante è la lettera del 16 gennaio 1948 al card. Suhard da parte di J.M. Vosté O.P., segretario della Pontificia commissione per gli studi biblici. In tale lettera (2) si afferma che il genere letterario dei racconti dei primi capitoli del Genesi non si può classificare nella visuale delle categorie classiche greche, latine o moderne; il racconto biblico contiene delle verità anche storiche, ma per sviscerarle pienamente, occorrono molti studi e molta pazienza. Importante inoltre è l’enciclica Humani generis del 12 luglio 1950, che non affronta per niente la questione della nascita della prima donna, lasciando cosi aperto il problema. 2) Il secondo argomento che viene portato, per sostenere il senso simbolico, sarebbe l’etimologia ishisha, che si trova nel v. 23, quando Adamo dice che si chiamerà donna. Se avessimo voluto seguire il senso ebraico dell’espressione, avremmo dovuto dire: si chiamerà uoma. Per lungo tempo, infatti, si è pensato che ishsha derivasse da ish; in realtà era un’etimologia popolare. Adesso si preferisce far derivare ish da wsh essere forte, o da ysh = legarsi a; ishsha deriverebbe da nsh = essere debole. A causa dell’etimologia popolare, si pensa che il racconto della derivazione della donna dall’uomo sarebbe stato causato da questa coincidenza di suoni. 3) Si ritiene che i testi del Nuovo Testamento (1 Cor 11, 7-12; 1 Tm 2, 13-14) che chiaramente trattano del problema delle origini della donna dall’uomo, non esigono un’interpretazione realistica; spesso, infatti, testi del Nuovo Testamento fondano il loro insegnamento sulla stessa presentazione letteraria dei fatti anche se non reali (3). Concludendo: gli studiosi cattolici tendono a dare un’interpretazione simbolica del racconto del Genesi sull’origine della donna, basandosi adesso anche sul genere mitico. In quest’ultimo genere non si esclude un fondamento di verità al racconto, anche se difficilmente possiamo per ora determinare cosa effettivamente sia accaduto. Come è stato notato, il racconto ci mostra l’identità di natura tra l’uomo e la donna. Si potrebbe quindi pensare ad un’essenziale uguaglianza. Come è noto però, contro questa interpretazione v’è il fatto che, per secoli e secoli, l’origine della donna dall’uomo è stata considerata segno di sudditanza e di minoranza per la donna, tanto nella società civile ed ecclesiastica come nella famiglia. Solo recentemente sono state approvate delle leggi, e non in tutti i Paesi del mondo, sull’effettiva uguaglianza della donna coll’uomo. Che cosa si deve pensare? Quali fondamenti biblici esistono sulla sudditanza della donna? Da quanto si è detto, nella Bibbia chiaramente non ne esistono. Non è, infatti, l’uomo che genera la donna nel racconto biblico, è Dio che la forma o la crea, traendo una costola dall’uomo. Come aveva tratto l’uomo dalla terra, cosi trae la donna dall’uomo. Non è un segno di sudditanza, dunque. Come per la creazione dell’uomo siamo dinanzi a un simbolo d’unità col creato, cosi nella creazione della donna siamo dinanzi a un segno della speciale unità e parità di natura tra Adamo ed Eva. Il v. 23: Allora l’uomo disse: Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiamerà donna (uoma) perché dall’uomo fu tratta costei!, è un inno di gioia dell’uomo che ha trovato la compagna. Egli scopre la stessa carne, le stesse ossa. In ebraico carne aveva un significato assai più vasto che nelle nostre lingue, poiché non c’era la parola corpo. Von Rad vede in questo versetto la chiave per spiegare il racconto della creazione di Eva (4); si trattava infatti di comprendere un fatto: l’attrazione primordiale tra i sessi – donde viene un amore forte come la morte? A me sembra che certamente lo scrittore jahvista ci spiega l’origine dei sessi, ma il suo racconto è ben più elevato e vasto.Non si tratta solo di una differenziazione all’interno della prima coppia, ma è la storia dell’intera umanità nel suo dover essere che ci viene presentato. Nell’amore profondo (reso plasticamente dal racconto della nascita della donna da una costola) tra il primo uomo e la prima donna, è adombrato l’amore tra tutti gli esseri che sarebbero nati; l’odio non dovrebbe esistere, perché è contro la propria carne; quello che poi si dirà spiritualmente, allora era vero anche fisicamente. Il v. 24: È per questo che l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si attacca alla sua donna e i due diventano una sola carne, è una considerazione dell’autore jahvista, non è la continuazione del discorso di Adamo, come si è creduto in passato, e sottolinea il valore dell’amore coniugale, monogamico, per il quale l’uomo taglia i suoi legami di parentela per unirsi alla sua donna. È interessante notare che, mentre nel giudaismo era sempre la donna che, quando si maritava, lasciava la famiglia per andare a vivere con l’uomo e con la famiglia di lui, qui si afferma il contrario. Qualcuno ha voluto vedervi delle vestigia di una età matriarcale ma, senza andare cosi lontano, certamente lo scrittore pone la donna in una posizione ben diversa da quella nella quale la società antica e anche moderna l’hanno considerata. (a) Alla donna disse: Farò numerose assai le tue sofferenze e le tue gravidanze, con doglie dovrai partorire figlioli e (b) verso il tuo marito ti spingerà la tua passione, (e) ma lui vorrà dominare su di te(Gn 3, 16). Abbastanza diversa è la traduzione della Cei: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà. a) Farò numerose, ecc.. Il testo ebraico dice: moltiplicherò le tue sofferenze e la tua gravidanza ; ma questa lettura è da considerare errata. Per gli ebrei, infatti, il concepimento, e quindi la gravidanza, era considerato un segno di grande benedizione del ciclo. Il testo, allora, andrebbe letto: moltiplicherò le sofferenze della tua gravidanza. Secondo la Bibbia di Gerusalemme non è vero che i dolori del parto sarebbero venuti col peccato, e senza peccato la donna avrebbe generato senza dolore; cosi come l’uomo non avrebbe lavorato senza sudore, e i serpenti non avrebbero strisciato sul ventre. Di fatto, il testo della Scrittura non dice che non ci sarebbe stato dolore nel parto prima del peccato, ma afferma che dopo il peccato sarebbero stati moltiplicati i dolori. b) Verso il tuo marito ti spingerà la tua passione. Il testo esprime chiaramente l’atteggiamento della donna nelle sue relazioni sessuali coll’uomo. Per questo la Bibbia della Cei ha tradotto passione con istinto. A questa frase si può dare una duplice interpretazione, una negativa e una positiva. Nella negativa si presenterebbe la donna come la seduttrice dell’uomo. L’interpretazione positiva, invece, si riallaccia a quanto detto delle doglie e afferma: e tuttavia i tuoi desideri ti porteranno verso tuo marito, sarai cioè una buona moglie. Ci sarebbe quasi una lode implicita della donna anche dopo il peccato (5). Non corrispondente al testo appare invece l’interpretazione secondo cui la donna tenderebbe verso l’uomo per sottomettersi a lui, una specie di brama di sudditanza. Quest’ultima interpretazione, che però non corrisponde al testo ebraico, è stata escogitata per trovare un legame tra b) e c). c) Quest’ultima parte del versetto dice: Ma lui vorrà dominare su di te. Spesso si è interpretato il dominio nel senso moderno di autorità; ma questa interpretazione si scontra con il senso del contesto b) c) e con altre difficoltà: ad esempio, ne deriverebbe che l’autorità e il suo esercizio sarebbero causati, in quanto tali, dal peccato originale; oppure si dovrebbe intendere che nel castigo di Dio è previsto lo strapotere, con tutte le sue conseguenze, particolarmente sulla donna, come fatto normale. In realtà, non bisogna rifarsi alle concezioni moderne del possesso dei privilegi giuridici e sociali che la donna invidierebbe all’uomo. Ma, alla maniera antica, si tratta qui di far sentire la superiorità corporea, particolarmente nell’amore fisico. La punizione della donna è ben raffigurata dalla radice ebraica mashal, che indica il dominio dispotico anche in campo sessuale (6). Senza il peccato originale, cioè, questa sudditanza della donna, fonte di tante altre sudditanze, certamente non ci sarebbe stata. Non è però una maledizione di Dio tutto ciò; la Bibbia ci dice la realtà storica, che la vita dello spirito e la grazia potrà e dovrà elevare e superare. A mo’ di conclusione, si può dire che anche nel racconto della caduta di Eva non è affermata nessuna superiorità maschile sul piano giuridico; l’uguaglianza rimane anche dopo il peccato. La punizione tocca Adamo come lavoratore ed Eva come madre nella sua vita psicofisica di donna. La superiorità dell’uomo appare più come la superiorità della forza bruta che non sta sottomessa alla ragione. Il racconto si limita al dato storico, l’uomo non viene incoraggiato a dominare; egli stesso rimarrà molte volte vittima della sua stessa forza sul piano dell’amore fisico, diventando così, da dominatore, schiavo. Conclusione Dopo quanto è stato scritto, possiamo qui riassumere brevemente gli elementi fondamentali che riguardano la donna nei primi tre capitoli del Genesi. Il racconto elohista ci ha tramandato un quadro veramente paradisiaco, nel quale l’uomo e la donna sono immagini di Dio; la donna appare presente, perciò, insieme all’uomo, con uguali diritti e uguali doveri. Essi sono maschio e femmina e, nell’innocenza, hanno il compito di moltiplicarsi per dominare la terra. La diversità dei ruoli è quella di carattere sessuale, intesa in senso psicofisico. Il racconto jahvista è più complesso. La donna appare come un aiuto ad Adamo, e viene tratta da Adamo. Ma, appena creata, è riconosciuta da Adamo uguale a sé, carne della sua carne, osso delle sue ossa. Il commento del narratore, che descrive l’uomo che lascia i parenti per andare a vivere con la moglie, mostra la posizione di prestigio nella quale egli pensava la donna mentre scriveva il racconto. Il capitolo 3, parlandoci della punizione, non dice nulla riguardo a un’inferiorità della donna sul piano giuridico, neanche dopo la caduta. Viene riconosciuta una debolezza della donna rispetto alla forza dell’uomo, particolarmente nell’atto coniugale, e ciò come dato storico e non come volere di Dio. Una interpretazione dei versetti biblici che volesse ricavarne una soggezione innata della donna, andrebbe incontro a grandi difficoltà. I soli due passi che hanno fatto pensare a una dipendenza dall’uomo sono il fatto che essa sia dichiarata un aiuto, e che è stata tratta da Adamo. Ma, se ben esaminate, tali affermazioni non ci dicono nulla di una eventuale dipendenza della donna dall’uomo. E solo un’interpretazione plurisecolare che ha dato tale senso, mentre, al contrario, come abbiamo già visto, molti sono i passi dei primi capitoli dove è presupposta chiaramente l’uguaglianza. Pasquale Foresi 1) De Gen. ad litt. XVI, PL 34, 405; 2) E.B. 581; 3) P.E. Testa, op. cit., p. 293; 4) Von Rad., op. cit., p. 83; 5) Cf. J. Coppens, La soummission de la femme a l’homme d’après Gen. 3, 16b, EThL, 1937, p. 638; 6)J. Coppens, op. cit., p. 633.

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