Dalla Carta di Firenze un forte no alla guerra
Firenze. Si è chiusa domenica 27 febbraio l’intensa avventura dell’incontro sul Mediterraneo. Giorni in cui è sembrato che l’intero mare fosse racchiuso in una sola città, come ha detto il sindaco Dario Nardella. Giorni in cui il Mediterraneo ha smesso di sembrare una barriera e si è trasformato nell’unico, grande continente sognato da Giorgio La Pira.
A Firenze, in questi giorni, si è colta l’occasione unica di riunire insieme le autorità religiose e civili delle principali comunità della regione mediterranea, perché affrontassero temi comuni e proponessero soluzioni condivise. Si sono gettati i ponti del dialogo.
Il mondo nel quale l’incontro finisce è molto diverso da quello in cui è iniziato, appena cinque giorni fa. Ci svegliamo oggi in un mondo in guerra. Al rientro nelle loro comunità, vescovi e sindaci troveranno questo nuovo scenario, dopo che, nei giorni del convegno, hanno sperimentato il concreto superamento delle divisioni.
Molte differenze sono emerse anche a Firenze, tra religioni, provenienze geografiche, ruoli, eppure chiudendo gli occhi, ha raccontato il card. Gualtiero Bassetti, non si poteva comprendere chi parlasse, se fosse cioè europeo, africano, mediorientale, o quale religione professasse. Si sentiva un’unica voce che pronunciava valori universali e diceva parole di amicizia.
Nel segno di La Pira, che dimostrò come fosse possibile andare al di là delle divisioni ideologiche che nei suoi anni generavano la Guerra fredda, e lo fece accogliendo proprio il sindaco di Kiev, la città, gemellata con Firenze, in queste ore drammaticamente invasa.
Come allora, anche oggi la diplomazia delle città mostra la sua forza, consentendo quel riconoscimento reciproco, al livello di persone, da cui sgorgano in modo del tutto naturale anche le soluzioni pratiche alle sfide della realtà.
La promessa è di incontrarsi di nuovo e nel frattempo di far vivere la Carta di Firenze, condivisa da sindaci e vescovi, ciascuno nelle proprie città e diocesi, nelle scuole, nelle piazze. “Diffondetela e incarnatela” ha chiesto Bassetti all’assemblea dei delegati durante la cerimonia di chiusura dei lavori. E i delegati hanno promesso, per voce dei sei tra vescovi e sindaci intervenuti, provenienti da luoghi simbolo della civiltà mediterranea, quali Atene, Gerusalemme, Istanbul, Zara, Rabat.
La fine dell’incontro è stata suggellata dal ricevimento nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio di alcune famiglie di rifugiati accolti a Firenze. Un momento simbolico, che il sindaco Nardella e il card. Bassetti hanno voluto mantenere nonostante l’impedimento di papa Francesco, per guardare negli occhi i veri destinatari del dialogo che si è svolto in questi giorni.
Coloro che riportano sulla propria pelle le ferite della guerra e dell’odio interetnico o interreligioso e per i quali la pace non è un concetto astratto, ma qualcosa di concretissimo, il gusto, il profumo, la consistenza di un passato andato perduto e la realtà di tranquillità ora, si spera stabilmente, ritrovata. C’erano anche bambini, piccoli, vestiti di tutti i colori, a scorrazzare in giro, indifferenti alla solennità dell’installazione multimediale di Amos Gitai e agli affreschi del Cortile di Michelozzo. Per loro, più che per chiunque altro, è nata la Carta di Firenze.
L’ultimo atto è stata la messa, celebrata in Santa Croce dal card. Bassetti in rappresentanza del papa insieme a tutti i vescovi partecipanti al convegno e alla presenza, tra le altre autorità, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo primo impegno segnato in agenda all’indomani della rielezione.
Leggendo il messaggio del Vangelo alla luce delle suggestioni del presente, alla luce di questa nuova “ingiusta, inutile” guerra, il card. Bassetti ha rassicurato che possiamo cambiare il mondo se cambiamo il nostro cuore. Se lo prepariamo all’ascolto, alla comprensione, all’amicizia. Questo è il messaggio dell’incontro di Firenze. La missione del Mediterraneo che vi ha partecipato è ora quello di diffonderlo ovunque. Di farsi esempio di una pace possibile.
La traccia da seguire è la Carta di Firenze che porta 120 sigle tra vescovi e sindaci, un documento dove sono confluite le intenzioni, le richieste e gli auspici maturati in questi giorni di confronto.
La guerra è stata l’ospite inattesa di questo convegno: esplosa in contemporanea col suo avvio, ne ha inevitabilmente influenzato il clima e il contenuto. L’impressione per quanto andava accadendo in Ucraina è stata fortissima, persino le battaglie dipinte da Vasari sulle pareti del Salone dei Cinquecento non erano mai parse tanto minacciose.
Davanti a questi fatti l’incontro mediterraneo rischiava di sembrare fuori dal tempo. Ma non lo è stato. Perché a Firenze, al di là delle parole e delle dichiarazioni, l’alternativa alla guerra si è messa in pratica per davvero: si sono esercitati l’ascolto e la diplomazia, il rispetto e il dialogo.
È stata l’occasione unica per raccogliere posizioni diversissime – comprese le istanze delle comunità musulmane del Mediterraneo, rappresentate dai loro sindaci, al di là anche di quanto era riuscito a La Pira con i Colloqui mediterranei – e, ciononostante, trovarsi infine d’accordo. Sui temi, comuni perché universali, della fratellanza, della libertà, della tutela dei diritti e della valorizzazione della dignità della persona, l’unico antidoto possibile ad ogni guerra.
La Carta di Firenze chiede impegno nella promozione della pace e chiama al rafforzamento della cooperazione internazionale e del dialogo inter-culturale e interreligioso. Il suo cammino inizia adesso: appena possibile, sarà presentata a papa Francesco e donata ai principali leader europei e internazionali.
Accanto a tante manifestazione per la pace sorte in questi giorni anche la messa domenicale nella basilica di Santa Croce è stata una grande preghiera per la pace.
Giorgio La Pira diceva che la preghiera è più forte della bomba nucleare: all’esplodere della nuova, inaspettata guerra dell’era atomica, a Firenze ci si oppone con la preghiera e con l’assunzione formale di un impegno di pace per il futuro.