Dalla 25° ora all’eternità

Non cerchiamo questo romanzo nelle classifiche dei best seller dove dominano ben altri prodotti. Dalla 25° ora all’eternità dello scrittore rumeno Constantin Virgil Gheorghiu (Edizioni San Paolo) è su un altro piano: Per gustarlo appieno – sono parole di Ferruccio Mazzariol – occorre avere una profonda sensibilità cristiana e un sentimento della Bellezza intesa in senso religioso e liturgico. Il titolo richiama quello che viene ritenuto il capolavoro di Gheorghiu, La 25° ora, del 1949, da cui è stata tratta nel 1962 una famosa versione cinematografica con Anthony Quinn nel ruolo del protagonista: dramma di un rumeno che consuma tredici anni della sua vita lontano da casa e dalla famiglia attraverso lager e prigioni d’ogni tipo. Vi predomina tuttavia una superiore comprensione, calda e umana, dei propri simili e del mondo circostante, scevra da egoismo, passione e odio. La venticinquesima ora, ovvero un tempo che non esiste, un tempo al di là del tempo, che esprime l’anelito dell’uomo, prigioniero delle sue ventiquattro ore, ad entrare fin da adesso in una dimensione altra. L’autore sceglie di aprire questo squarcio raccontando la dedizione eroica di un umile prete della Chiesa ortodossa alla sua missione: e per questo ci trasporta in Romania verso la fine della Seconda guerra mondiale, mentre l’invasione sovietica è alle porte. Il padre dello scrittore, parroco in una sperduta parrocchia di montagna, è accusato di eresia e sospeso dal suo ministero. Privato del già gramo stipendio statale, vedrà minacciata la sopravvivenza stessa dei suoi. Chiede allora aiuto al figlio, giornalista nella capitale, ma al ritorno rischia di essere fucilato per un equivoco di cui è causa involontaria il giovane Gheorghiu. Pur scampato alla morte, non si saprà più nulla né di lui né dei suoi parrocchiani, nonostante le molteplici affannose ricerche del figlio. In realtà, questo scarno resoconto non rende affatto giustizia all’originalità di una vicenda toccante e umanissima, che vive tutta di una dimensione poetica e spirituale. Fin dalle righe iniziali il lettore si imbatte in una immagine insolita: il primo ricordo dell’autore, ancora nella culla, è il volto del padre chino su di lui. Due misteri che si scrutano e si interrogano silenziosamente. Per molte pagine non c’è traccia di una madre, come in certe parabole del Vangelo dove a dominare la scena è unicamente un padre nel suo rapporto con i figli. Il padre, dunque, quasi icona che rinvia a Dio, alle realtà oltremondane. E ancora come una icona egli apparirà per l’ultima volta allo scrittore, il volto inquadrato nel finestrino del treno diretto verso l’ignoto. Fra questi due momenti si colloca la storia di un povero prete di montagna, che su quelle lande pietrose si prodiga per la sua gente tra sofferenze indicibili, sempre più affaticato e diafano, quasi non più di questa terra. Storia che è al tempo stesso quadro di una infanzia – quella del figlio – trascorsa, da una parte nella miseria più nera, ma dall’altra nell’abbondanza dei doni spirituali e quasi in un anticipo di Cielo, grazie al rapporto speciale col padre tanto amato. Un rapporto divenuto più intenso e puro dopo la prova: è quando il bambino Virgil si sente tradito da colui il cui amore s’accorge non essere esclusivo nei suoi riguardi, ma che – in Cristo – allarga la sua paternità a tutta l’umanità: presente, passata e futura. Sorprendente è il finale di questo romanzo sul sacerdozio e sul suo mistero, in cui è tutta la storia religiosa di un popolo che si affaccia al lettore. Gheorghiu, infatti, immagina il padre e i suoi parrocchiani assunti in Cielo, apertosi misericordioso ad accoglierli: non viene in mente l’ultima scena del film Miracolo a Milano, dove i poveracci della baraccopoli, rifiutati e perseguitati, si salvano emigrando in massa, a cavallo di scope, verso un mondo più bello e più vero? C. VIRGIL GHEORGHIU (1916-1992). Nato in un villaggio del distretto di Neamt, dopo gli studi in un liceo militare, frequenta Lettere e Filosofia a Bucarest. Cronista per vari giornali, durante l’ultima guerra firma diversi eccellenti reportage dal fronte, che pubblicherà a partire dal 1941, a cominciare da uno sconvolgente resoconto sul genocidio, da parte del potere sovietico, delle popolazioni rumene in Bessarabia. Queste opere, pur segnando un momento importante nella letteratura romena di guerra, verranno rimpiazzate dai surrogati della letteratura del realismo socialista. È invece del 1937 la sua prima raccolta di versi. Dopo la guerra, inviso al regime filosovietico, Gheorghiu si rifugia a Parigi assieme alla moglie Ecaterina. Lì continua la sua attività di scrittore: romanzi, ma anche scritti religiosi, reportage e note di viaggio. Ordinato sacerdote nel 1963 dopo un travagliatissimo iter, dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli viene nominato economo stauroforo della Chiesa rumena di Parigi. Ormai è uno tra gli scrittori di maggior successo dell’esilio rumeno, autore di più di quaranta volumi.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons