Dalila vince Sansone al Teatro dell’Opera di Roma

Torna in scena nella Capitale dopo 63 anni l'opera di Camille Saint-Saëns. Dirige Charles Dutoit, allestimento di Carlus Padrissa/La Fura dels Baus
Samson et Dalide al Teatro dell'Opera di Roma

Nei tre atti del grand-opèra Samson et Dalide, dato dopo 63 anni all’Opera di Roma, c’è tutto quello che la Francia del secondo Ottocento amava: l’esotico, il sensuale, il religioso, il drammatico. Uno spettacolo a forti tinte, come certi kolossal americani  parabiblici degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma la somiglianza è tutta esteriore. La musica di Camille Saint-Saëns, voluttuosa e severa, si arma di finezze orchestrali che ne fanno un caleidoscopio di colori: dalle preghiere salmodianti degli ebrei schiavi, memori del gregoriano – il musicista era un ottimo organista –, agli avvertimenti bruschi del sacerdote a Sansone perché faccia attenzione a Dalida, all’entrata sinuosa di costei, femme fatale come Carmen e come più tardi Salomè e Tosca.

L’elemento femminile è predominate nell’opera dal secondo Ottocento in poi. La musica è accattivante, il discorso drammatico funziona perché è flessibile e i momenti cantabili restano impressi per una melodia languida e forte, in cui archi gravi e legni si muovono con passi seducenti. Anche le danze – il cosiddetto Baccanale – evidenziano l’amore del musicista per le tinte “alla Moreau”, calde, affascinanti. L’orchestra di Saint-Saëns è una tavolozza più che squillante, ombrosa e vitale, della vitalità della passione strisciante. Ma il compositore anima di sincera religiosità anche le scene “mistiche”, perché il dramma deve essere comunque “biblico” e chiudere con la morte di Sansone e dei Filistei, ossia con un soprassalto ultimo di verità da parte dell’eroe sedotto.

Charles Dutoit è un direttore raffinato e l’orchestra, sotto la sua guida mai pesante ma attenta, ha estratto colori bellissimi, un sinfonismo morbido anche nei momenti di furore, in linea con la musica estetizzante del compositore. Brillavano il formidabile tenore Aleksandrs Antonenko e il contralto, davvero profondo e maligno, Ekaterina Semenchuk.

Qualcuno ha trovato da ridire sull’allestimento di Carlus Padrissa/La Fura dels Baus. L’ho trovato eccellente: proiezioni in bianco e nero dinamiche tra fiori stellanti, petali giganteschi e moti di visi e di corpi, insomma il turbillon della vita, dell’amore-passione, della seduzione, ma anche della folla immensa e dolente. Più per accenni, per commenti che per descrizioni, l’allestimento ha lasciato alla vaporosità della musica il suo gioco. Risultato: un bellissimo spettacolo.

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