Dal terrore alla pace

Dopo i continui attentati che subiamo, come credere ancora nella pace? Riccardo

È davvero sconcertante il clima di terrore che si crea quando inizia a diffondersi il passaparola di un nuovo ennesimo attentato rivolto a persone innocenti, magari papà e mamme di famiglia che stavano tranquillamente passeggiando a un mercatino di Natale nel centro di Berlino. Un nodo sale in gola e ruba la serenità del cuore.
Gli occhi diventano più attenti al colore della pelle di chi si ha dinanzi e lo sguardo diventa sospettoso. Così, sembra
proprio che i terroristi abbiano già vinto la loro guerra, iniettando un veleno potente che divide i fratelli tra di loro.
Questo è il momento per far risuonare parole antiche e autenticamente nuove: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). La beatitudine di cui parla Gesù passa per la straordinaria esperienza che l’altro è un fratello. È la consapevolezza irrinunciabile che nella sua croce si è rivelato «un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). L’antidoto più efficace alla paralisi del terrore è allora «il dinamismo controculturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare» (Amoris laetitia 111). Essere figli di Dio vuol dire assomigliare a Colui che davanti ai nostri muri continua, con un amore instancabile, a costruire ponti.

p.gentili@chiesacattolica.it

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