Dal Sinodo della Chiesa antica alla Chiesa sinodale oggi
«Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Non lascia dubbi l’affermazione di papa Francesco nel discorso pronunciato il 17 ottobre 2015, in occasione del cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI.
Potrebbe racchiudersi in questa citazione, ripresa da mons. Piero Coda, preside dell’Istituto universitario Sophia (Ius), il senso del convegno promosso dal Movimento dei Focolari in Italia, in collaborazione con il “Centro Evangelii gaudium” dello Ius, il cui titolo recita: “Nuova tappa dell’evangelizzazione e sinodalità: il rinnovamento ecclesiale alla luce della Evangelii gaudium”.
Sono circa quaranta i vescovi convenuti sulle colline toscane dalle diverse regioni italiane, accolti per tre giorni nella cittadella dei Focolari dove è ancora viva l’eco della visita di papa Francesco il 10 maggio scorso.
Nel corso della sua relazione, dal titolo “La sinodalità esercizio di Chiesa”, mons. Coda ha indicato proprio nella sinodalità il filo conduttore del magistero di Bergoglio, evidenziando come in numerosi interventi papa Francesco ne parli come di una dimensione costitutiva della Chiesa. Una sinodalità che è dunque un esercizio di Chiesa nel quale avviene una manifestazione particolare dello Spirito.
«Sinodo è termine della Chiesa antica, ma l’aggettivo sinodale è una maturazione della coscienza ecclesiale», afferma infatti Coda; il quale propone cinque sentieri da percorrere: essere, come pastori, artisti e artigiani della sinodalità; strutturare percorsi formativi comuni tra giovani laici, giovani religiosi e seminaristi; educarsi ed educare a quello che papa Francesco descrive come “cultura dell’incontro” e “coraggio dell’alterità”; inaugurare una nuova stagione nella costruzione collettiva di una democrazia realmente partecipativa e popolare; avviare – si chiede – un processo sinodale che coinvolga in un cammino comune tutte le nostre chiese particolari in Italia. E chiude con una domanda rivolta ai vescovi presenti: «Come si progetta la Chiesa in Italia? Siamo alla soglia ormai di un nuovo decennio pastorale. Che sia il momento propizio?».
In apertura del convegno, ieri pomeriggio, mons. Coda oltre ad esprimere «la gioia di avere a Loppiano una presenza qualificata della Chiesa in Italia», aveva sottolineato: «Sentivamo di doverci mettere al servizio della Chiesa nel nostro Paese, camminare con i nostri vescovi, servire questa tappa nuova dell’evangelizzazione. Camminare insieme, è la parola di vita di questi giorni».
A vederli, i vescovi presenti a questa assise alla prima edizione, fa pensare alla possibilità di un comune sentire, di condividere un percorso che li fa fratelli fra loro e con tutto il resto del popolo di Dio. Conoscendone diversi fra i presenti, si può dire che è vita quello a cui Jesús Morán, co-presidente del Movimento dei Focolari, nel saluto iniziale, fa riferimento come necessario alla Chiesa e alla società oggi: «Lo stile cristiano come stile mariano, quindi generativo, materno, accogliente, concreto nell’amore, pieno di tenerezza e misericordia» che esprime il «potere della debolezza».
Il tema del convegno, chiaramente, non può che far tornare con la mente e col cuore al V convegno ecclesiale che si è svolto poco distante da qui, a Firenze, nel novembre del 2015. Mons. Mario Meini, vescovo di Fiesole e quindi ordinario del luogo, ne ripercorre le tracce.
Sebbene da più parti ci si interroghi su cosa sia rimasto di quel convegno e quanto sia stato importante e sia ancora attuale nella vita della Chiesa italiana, nelle parole del vescovo si coglie una valutazione positiva. Rimane tutta la fase preparatoria, come frutto maturo nelle diverse diocesi; rimangono le cinque “parole”, cioè le cinque vie aperte a Firenze: annunciare, uscire, educare, abitare, trasfigurare, con le loro innumerevoli prassi di applicazione nei più diversi contesti; rimane lo stile sinodale, vissuto e sperimentato nelle modalità stesse di svolgimento del convegno.
Tutto bene, dunque? Tutto fatto? Non proprio: quell’immagine positiva di un Paese segnato da fragilità, ma caratterizzato da gratuità, condivisione, spiritualità e vita di preghiera, negli anni seguenti è stata minata e ha lasciato posto alla sfida di attuare un umanesimo che, a tutti i livelli, metta al centro la persona. E l’Evangelii gaudium è un forte stimolo a raccogliere questa sfida, anche in virtù dei suoi quattro assiomi, ricordati e approfonditi dal card. Petrocchi: “Il tempo è superiore allo spazio”, che invita a promuovere processi aperti e coinvolgenti, suscitare reazioni a catena senza dover misurare sulle corte distanze i risultati. “L’unità prevale sul conflitto”, che stimola a non ricorrere a tentativi di cosmesi culturale, ma a guardare in faccia le difficoltà.
“La realtà è più importante dell’idea”, in una circolarità fra vita e pensiero. “Il tutto è superiore alla parte”: «Una chiesa locale che non si muove con la chiesa universale si condanna al soffocamento, all’asma teologica e pastorale», ammonisce il cardinale dell’Aquila.
Un ultimo spunto, fra i tanti emersi, riguarda un altro aspetto del pensiero di papa Francesco, così come emerge da una lettura dell’Evangelii gaudium: la mistica della fraternità. Ne parla Renata Simon, consigliere centrale del Movimento dei Focolari per l’aspetto della cultura. Una dimensione, quella mistica, che sottosta a tutta l’esortazione. Uno stile, quello della fraternità, che appartiene a tutto il documento e, più ancora, alla persona e al pontificato di Bergoglio.
Recita infatti l’Evangelii gaudium al n° 87: «Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la mistica di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio».
Un bel programma per i partecipanti al convegno e non solo.