Dal dolore alla speranza
Conobbi Cinzia attraverso suo padre: un signore d’altri tempi, la gentilezza e la bontà fatte persona. Prestava servizio nella portineria del Liceo Scientifico dove insegnavo. Mi fermavo spesso a parlare con lui e diventammo amici. Solo molto tempo dopo lo incontrai per strada con sua figlia, e così ebbi modo di conoscerla e di frequentarla.
Diventammo amiche gradualmente. Cinzia, di qualche anno più grande di me, alta, bella, allegra, era cresciuta in una famiglia semplice, di campagna, con valori solidi. Lavorava come impiegata in un calzaturificio. Nel 1981 aveva sposato l’amore della sua vita, Giovanni, elettricista, molto bravo ed apprezzato non solo nel lavoro.
Desideravano avere dei figli e, per poterli crescere con maggiore disponibilità di tempo, Cinzia divenne proprietaria di un elegante negozio di casalinghi. Perciò, prossima alle nozze, io e il mio fidanzato decidemmo di acquistare tutto da lei. Semplice, gentile, concreta e con un gusto innato, seppe consigliarci nella scelta.
I figli, però, non sono arrivati. Cinzia e Giovanni si sono uniti ancora di più accettando insieme questa prova.
«Fu per me un grosso dolore, una delusione lacerante – racconta Cinzia –. Decisi di vendere il negozio e nel 1993 di fare l’impiegata part time in tre scuole diverse. Nel 2000 mio marito improvvisamente si ammalò: aveva un tumore al cervello e dopo sei mesi, morì. Tutto il mio mondo si sgretolò in un attimo. Amavo moltissimo Giovanni. Rimaneva un vuoto terribile, avevo perso tutte le mie certezze. Dovevo ricostruire la mia vita, un insieme di giorni spenti, tristi. Eppure avevo accanto i miei parenti, conoscenti, colleghi, amici vicini e lontani».
Fu anche per me un colpo per me la perdita di Giovanni, che nel frattempo era diventato nostro amico, oltre che riparatore di guasti improvvisi non solo a casa mia, ma anche nel condominio e nell’azienda dove mio marito l’aveva fatto conoscere. Allegro, disponibile, puntuale, capace, risolveva ogni problema elettrico.
Spesso diceva che la fortuna più grande della sua vita era stata quella di aver incontrato Cinzia, a 18 anni. Subito dopo, avendo perso improvvisamente suo papà, sarebbe impazzito se non avesse avuto lei al suo fianco!
Cinzia era irriconoscibile, devastata: quante volte abbiamo pianto insieme, in silenzio… Sembrava impossibile poter parlare di qualcosa che non ci riconducesse a Giovanni. Poi decise di fare la segretaria solo nella scuola dove suo padre era in portineria e dove io stessa insegnavo già da 20 anni, e cambiò casa avvicinandosi così ai suoi genitori.
Che bello poter andare in segreteria e trovarla lì, portarle un caffè o una brioche dal vicino bar, coccolarla un po’! Quasi ogni giorno le portavo qualcosa da stampare: tracce di temi per i compiti in classe o per le discussioni, domande su schede di libri letti, versioni da tradurre.
Poi le lasciavo una copia di Città Nuova con le orecchie nelle pagine da fotocopiare per i ragazzi: spesso, quando mi consegnava le fotocopie, condivideva un pensiero su ciò che aveva letto. A poco a poco Cinzia incominciò a rifiorire grazie all’amore e alle preghiere di tanti: non si parlava di Dio, ma ce l’aveva dentro più di prima “quel Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola”, come affermava Manzoni, la cui vita fu costellata di lutti.
Nel 2003 Cinzia comprò una tela, dei colori ed altri materiali; e una notte in cui non riusciva a dormire buttò alla rinfusa colori vari, poi qua e là sabbia e con una spatola si aiutò a far emergere sfumature, segni vari. Andò a letto più serena, come se dipingendo parte della sua rabbia e della sua tristezza fossero finite sulla tela. Quello fu il primo quadro, che conserva ancora. Ne fece altri, un critico d’arte la incoraggiò ad andare avanti, le consigliò di fare una mostra.
«Posso dire davvero che dipingere per me è stato terapeutico – afferma Cinzia –, ho conosciuto pittori professionisti, ho frequentato corsi, ho fatto tante mostre in Italia e all’estero con persone che hanno apprezzato i miei lavori.
Poi a 50 anni ho riprovato l’amore, un amore diverso, maturo con Stefano, e dopo la morte dei nostri genitori ci siamo trasferiti in un’isola delle Canarie, a Fuerteventura. Ora creo oggetti vari che espongo nei mercatini della zona, apprezzati da turisti di varie nazionalità, che ritornano a comprarne altri per regalarli o tenerli.
Adesso che sono lontana mi sono abbonata a Città Nuova, che trasmette un senso di bellezza e di armonia, e dà speranza: mi fa provare sensazioni legate all’“essere famiglia” e mi ricorda tanti momenti vissuti con Annamaria! Ho anche ritrovato la mia fede grazie ai tanti che mi hanno tenuta nel cuore in tutto questo tempo».
Concludo che provare a dare colore al dolore tramite la pittura fa bene, dà voce ad emozioni profonde e cura ferite interiori, che non sempre si riescono ad esprimere con le parole.
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