Dal caro benzina al caro pane

Forse gli ecologisti non l’avevano prevista una crisi alimentare di così vaste proporzioni come quella che il pianeta sta affrontando, quando hanno difeso a spada tratta la proposta di imboccare su scala mondiale l’uso dei biocarburanti. E certo non è colpa loro il boom economico esploso nei più popolosi Paesi del mondo, cioè la Cina e l’India, che ha prodotto una richiesta di cibo di proporzioni adeguate ai bisogni alimentari di quelle popolazioni, protagoniste dei mercati mondiali e divenute ormai capaci di soddisfare i loro bisogni primari acquistando a prezzi di mercato. Il mercato, però, non aspetta le disposizioni dagli organismi internazionali, che possono suggerire e orientare, ma non hanno poteri decisionali. Il mercato è sempre vigile e pronto a fiutare il vento che soffia e a disporre le vele per profittarne al meglio. Ecco perché i prezzi di molti prodotti alimentari, a cominciare dai cereali, sono schizzati alle stelle. Ma vediamo un attimo le proporzioni di questi rincari. La Fao ha calcolato che al 2007 l’indice medio dei prezzi dei generi alimentari è cresciuto in un anno del 40 per cento. Che, rispetto al 2000, il prezzo del mais è raddoppiato, mentre quello del grano è triplicato. Quello del riso è cresciuto, solo negli ultimi quattro mesi, del 40 per cento. E ciò in presenza di record produttivi mai finora registrati. Se poi si considera che per produrre un chilo di carne occorrono da 5 a 10 chili di mais e che solo in Cina il consumo, negli ultimi venti anni, è più che raddoppiato, il calcolo è presto fatto. E se a tutto ciò si aggiunge il gioco della speculazione, ecco spiegato, nell’immediato, l’aumen – to dei prezzi dei cereali al quale abbiamo assistito, visto che l’adegua – men to delle produzioni agricole ai nuovi bisogni quanto meno deve rispettare i tempi fisiologici dei ritmi stagionali. Perché la terra per soddisfare le nuove richieste c’è, ma la sicurezza di ricavare un profitto da milioni di ettari abbandonati che potrebbero venire rimessi a coltura non è garantita. Più fortunati sono i Paesi a più forte vocazione cerealicola. I più penalizzati, invece, sono i Paesi africani, perché a più forte sviluppo demografico, a basso reddito e a più scarsa vocazione cerealicola. In attesa che si sperimentino altri tipi di biocarburanti che non influenzino la produzione alimentare, questo rimane, per alcuni anni ancora, il quadro che ci si presenta. Ma torniamo al problema energetico, innescato dal rialzo vertiginoso dei prezzi del petrolio, che ha persuaso a incrementare la produzione dei biocarburanti, a scapito della produzione alimentare. È chiaro che la soluzione di questo problema non è eludibile e che andrebbe affrontata con un maggiore coordinamento internazionale, anche per fronteggiare più efficacemente l’inquina mento che non conosce confini. A questo riguardo si sa che in tutto il mondo c’è un rinnovato interesse per il nucleare. In Italia si spera molto dal solare, ma si fa poco o nulla per incrementarlo. I fronti sono dunque tanti, e ciascuno apre un percorso che va seguito, nell’interesse dell’intera popolazione mondiale e nello spirito di una solidarietà che va ben oltre le contingenze dell’immediato. E supera gli interessi di chi dispone oggi del petrolio, o della canna da zucchero, o del mais, o dell’uranio. Ma occorre una sensibilità più acuta e lungimirante di quella che ancora vede troppi di noi ripiegati a contemplare il nostro orticello e solo quello.

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