Dai sorrisi alle lacrime: Torino, una città nel pallone
È finito il Campionato. Finalmente, si potrebbe dire, considerati lo scarso interesse delle ultime giornate – almeno per quanto riguarda la lotta scudetto –, la pochezza generale del nostro calcio e soprattutto il solito clima che accompagna ogni singola giornata pallonara. È finito con una città, Torino, dai sentimenti agli antipodi: gioia bianconera per lo scudetto dei record; tristezza granata per l’Europa sfumata ai calci (o meglio, al calcio) di rigore. È finito con la Sicilia che fa staffetta in Serie A (Catania giù, Palermo su), così come potrebbero farla – pur se già rappresentate nella massima categoria – Toscana (Livorno retrocesso, Empoli in pole per salire) ed Emilia-Romagna (Bologna condannato, Modena e Cesena pronti a prenderne il posto). Ma è finito anche con un numero di gol, 1035, che non si vedeva da tempo, segno che qualcosa di buono c’è pure da noi.
C’è innanzitutto una Juve da 33 vittorie in 38 partite, ruolino di marcia che le ha permesso di sfondare il muro dei 100 punti e di concludere a quota 102. Al già ottimo impianto delle ultime due stagioni, la dirigenza bianconera ha saputo finalmente aggiungere due attaccanti di livello (Tévez e Llorente), e i risultati si sono visti. Ma il vero uomo in più di questa Juve dei record è senza dubbio Antonio Conte, allenatore/motivatore stile Mourinho e Simeone, che giustamente sta riflettendo sul proprio futuro: difficile chiedere di più a un gruppo piuttosto in là con gli anni (Buffon, Pirlo, ma anche un Barzagli spesso alle prese con acciacchi vari), probabilmente destinato a rinunciare al gioiello Pogba e sul quale pesa come un macigno la scarsa competitività in Champions League, vero obiettivo delle prossime stagioni.
In un campionato “normale”, chiudere a 85 punti (sarebbero stati di più se non fossero arrivate tre sconfitte nelle ultime tre insignificanti giornate) vale spesso il titolo. In casa Roma, però, non c’è alcun tipo di rammarico, perché il ciclo Garcia è appena iniziato e perché la dirigenza giallorossa ha dimostrato di sapersi muovere benissimo sul mercato. Record di punti (eguagliato) anche per il Napoli, la cui stagione si è chiusa in bellezza e con una Coppa Italia in bacheca che ha fatto dimenticare i tanti passi falsi in campionato e la sfortunata campagna di Champions. Bene pure la Fiorentina, fortemente penalizzata dagli infortuni a Rossi e Gómez, e benissimo il Parma, tornato in Europa a distanza di otto anni dall’ultima volta. Delude invece Milano, con l’Inter di Mazzarri anonimamente quinta e il Milan addirittura fuori dalle competizioni continentali: non accadeva da 16 anni.
L’ultima immagine da ricordare, però, non può essere che quella di un Alessio Cerci disperato in mezzo al campo dopo il rigore fallito al “Franchi” di Firenze. Trasformarlo avrebbe significato riportare il Torino in Europa 12 anni dopo (Intertoto 2002), ma evidentemente il destino del popolo granata è quello di soffrire: poche soddisfazioni, tante delusioni e l’immane tragedia di Superga. Giampiero Ventura, che in carriera ne ha viste tante, ha reagito da gran signore qual è: sorriso sulle labbra e parole al miele per il suo giocatore. «Ho visto piangere Baggio e Baresi – ha dichiarato –: solo chi non fa non sbaglia. Alessio deve essere orgoglioso del suo straordinario campionato». Con il Mondiale alle porte, l’attaccante romano ha l’occasione per dimenticare e – chissà mai – riscattarsi. Glielo auguriamo. Ce lo auguriamo.