Dai mattoni alle stampelle
Come la massima parte dei giovani del mio paese, Clusone, andavo in chiesa per la messa della domenica e delle feste comandate, ma dopo la benedizione del parroco tutto finiva lì, o quasi; non mi sfiorava neppure l’idea che il Vangelo fosse un qualcosa che si potesse vivere tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24!. Siamo negli anni antecedenti il ’60 e Giovanni, Giommi per gli amici, giovane muratore pieno di forze e di buona volontà, fidanzato con Ester, programma con entusiasmo il suo futuro, secondo uno stile di vita che aveva imparato in famiglia; dai genitori e dodici tra fratelli e sorelle. Poi, un giorno, s’imbatte in una bella novità: qualcuno gli presenta in modo insolito il Vangelo, indirizzandolo, nientedimeno, a vedere Gesù nel prossimo! Ritrovare in ciascuno quel Cristo, magari in potenza o nascosto, che è l’identità più profonda di ogni persona, è una rivoluzione. Tutto cambia, assume una dimensione imprevista, si colora di sfumature di pazienza, di altruismo, di porgere l’altra guancia, di posporre i propri modi di vedere per amore dell’altro… Ester approva, condividendo profondamente questo ideale, e insieme iniziano la nuova avventura. Sono, con altri giovani, famiglie e religiosi, tra i primi aderenti bergamaschi al Movimento dei focolari. L’ideale della fraternità universale esplode ed è quasi una gara a chi ama di più. Il matrimonio stesso assume una prospettiva diversa, ancora più ampia nell’impegno di vivere un cristianesimo nuovo e totalitario, bello come mai si sarebbe pensato. Nel ’62 Giommi ed Ester si sposano e l’anno dopo arriva la prima bambina:Milena. E qui la loro storia incomincia ad assumere contorni nuovi, imprevisti, nei quali non manca la sospensione e spesso il dolore. La bambina non sta bene, lo sviluppo non procede normalmente, ma neppure i medici capiscono di cosa si tratti. Le analisi non chiariscono a sufficienza e le cure non sono che tentativi, fatti per cercare una soluzione ma sempre senza riuscire a fare una diagnosi precisa. Così, a soli 14 mesi, la piccola muore. Sarà la prima di una serie di prove che i giovani genitori, sostenuti oltre che dalla fede anche dall’amicizia di alcune famiglie che condividono gli stessi ideali, dovranno affrontare. Da allora, e sempre più, sullo sfondo la figura di Maria che tiene fra le braccia il Figlio crocifisso diventa per loro punto di riferimento e di preghiera: lei poteva capire. Poi la vita presenta loro una imprevista e gradita possibilità. Alla Mariapoli di Merano del ’64, convegno estivo al quale Giommi ed Ester partecipano, viene presentato il progetto della prima cittadella del movimento che si sta realizzando in Toscana, nell’altipiano sopra Incisa in Val d’Arno. Giommi, con la sua innata generosità e da esperto muratore qual è, sente subito la spinta ad offrirsi per le prime costruzioni, affiancato dagli amici e dal fratello che lavorano nello stesso campo. Nel frattempo la sua famiglia si arricchisce di nuovi arrivi: Chiaretta e, quattro anni dopo, Aurelio. Arricchisce, è vero… nonostante l’ombra della croce offuschi questi eventi: i due bimbi presentano infatti sintomi simili a quelli della piccola Milena.Malattia congenita e progressiva? Curabile o, anche questa volta, fatale? Si vive col fiato sospeso. La scienza nel frattempo ha fatto passi da gigante e i tentativi di capire fino in fondo la natura del male e le eventuali terapie incrementano la speranza di poterlo fermare o per lo meno arginare. Mentre Giommi inizia i lavori a Loppiano, facendo la spola tra Clusone e la Toscana, anche il resto della famiglia, dopo periodi di cura trascorsi in località diverse e perfino in una città di mare, si trasferisce a Loppiano, in un vecchio casolare riadattato e predisposto di attrezzature per le terapie indispensabili ai bambini. La casa era diventata come un piccolo ospedale – racconta Giommi -, ma ciò non incideva negativamente in noi. Anche i bambini, tra una cura e l’altra, crescevano colmi di quella pace e gioia che l’atmosfera della cittadella procu- rava e manteneva in tutti. Inoltre l’amore reciproco in famiglia e il desiderio di compiere bene la volontà di Dio, giorno dopo giorno, predominavano veramente. Chiaretta, la maggiore anche di una seconda sorellina arrivata qualche anno dopo e fortunatamente sana, era un piccolo raggio di sole, sempre. Quante volte, guardandola o sentendola parlare, mi sono convertito! Entrando in casa dopo il lavoro, mentre mi pulivo le scarpe spesso cariche di fango, cercavo di lasciare fuori, sullo zerbino, tutte le preoccupazioni ed i problemi personali per essere completamente disponibile agli altri. Capivo che solo così, con questo atteggiamento, tutto poteva funzionare. Era indispensabile dimenticare noi stessi e credere al Vangelo per toccare con mano che Dio può tutto, e può farci perfino gustare un po’ di Paradiso anche in un contesto impegnativo quale era il nostro. Fatti che davano coraggio e nuovo sprint, si ripetevano ogni giorno e Chiaretta, come una piccola maestra, ne era spesso protagonista. Come quella volta – aveva otto anni – che, sollecitata da don Mario, un sacerdote amico, aveva ripetutamente pregato per i carcerati. Dopo non molto si era venuti a sapere della conversione di un carcerato da molti anni lontano dalla pratica religiosa. Alla persona del movimento che andava spesso a trovarlo aveva confidato: Ti ringrazio; tu non mi hai parlato mai di Dio ma lui, anche attraverso la tua amicizia, mi si è manifestato ed io ho incominciato a capire che c’è e che mi ama!. E quando Chiaretta, con Aurelio, si doveva recare in ospedale per fare delle flebo, nonostante la paura tipica dei bambini per questo genere di cure, prendeva per mano il fratellino e diceva: Andiamo per primi, così diamo l’esempio ed anche gli altri bambini non hanno più paura!. Poi Chiaretta, a nove anni e mezzo se ne va in Paradiso, quasi a preparare con dolcezza e per tempo l’accoglienza del fratello Aurelio, che invece la raggiungerà a 21 anni. Queste realtà legano in modo ancora più profondo i rapporti di famiglia, ora composta da tre soli membri, donando uno sguardo nuovo su tutte le cose: è come se cielo e terra si fossero uniti. Poi gli anni passano: dieci, venti… L’ultima figlia si sposa e Giommi ed Ester diventano, con gioia, nonni di due bambine. Da un po’ di tempo in qua però Qualcuno sta bussando nuovamente alla loro porta: in Giommi si è evidenziata infatti una malattia che pone tanti interrogativi. Ogni giorno diventa una conquista sempre più faticosa. Per spostarsi, anche in casa, occorrono le stampelle. Così per raggiungere la macchina che ogni sera li porta alla non lontana pieve di San Vito, dove l’Eucaristia quotidiana rinnova la tenace fede in Dio e la fortissima unione che li lega. Avevo tanto sperato di raggiungere in salute l’età della pensione per potermi dedicare completamente a tutti quei piccoli o grandi lavori che una cittadella richiede – è Giommi che parla – ed invece… eccomi qui! Ma ho capito una cosa importante; è una frase che mi ha detto alcuni anni fa Chiara Lubich: Guarda, Giommi, in Paradiso non conterà quante case hai costruito, ma se hai amato. Il viso di Giommi è disteso, sereno. Anche Ester sorride, accomodandogli i cuscini sul divano. Continua: Forse non esagero dicendo che il pensiero del Paradiso mi è diventato familiare, un po’ per i tre angioletti che ci hanno preceduto e un po’ per l’esperienza concreta, costante, che io ed Ester stiamo facendo. Adesso che i figli non sono più con noi il nostro rapporto si è ancor più approfondito e ci sembra di capire in un modo nuovo quanto, durante la cerimonia del matrimonio, ci era stato proposto: la preziosità del cammino di coppia con l’aiuto vicendevole nella buona e nella cattiva sorte. Ci sembra di sperimentare veramente cosa significhi Gesù in mezzo a noi!.