Daesh risorge

In questi ultimi mesi la pandemia ha distratto il mondo Occidentale dalle sempre più inquietanti notizie che danno lo Stato islamico, il Daesh, come ben lontano dall’essere scomparso.

«Abbiamo conquistato l’area al 100%», twittava col suo non insolito tono supponente il presidente statunitense Donald Trump riferendosi alla sconfitta del Daesh ad opera della Coalizione a guida statunitense, almeno secondo lui. Era il 1° marzo 2019.

La crescente attività di guerriglia dei risorgenti gruppi jihadisti legati al Daesh in Irak, Siria e nell’Africa subsahariana ha spinto il 4 giugno scorso i rappresentanti del gruppo ristretto (32 stati) della Coalizione globale anti-Daesh ad incontrarsi in videoconferenza. La riunione era co-presieduta dal Segretario statunitense Mike Pompeo e dal Ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio. Nel corso del meeting, il capo della Farnesina avrebbe addirittura auspicato un coinvolgimento della Coalizione in Africa occidentale, dove i gruppi jihadisti imperversano quasi incontrastati.

Lorenzo Vidino, esperto di islamismo e docente alla George Washington University, ha recentemente rilevato che «lo Stato islamico è parzialmente risorgente» e sembra «molto più forte rispetto a due o tre anni fa». Secondo l’esperto italo-statunitense, i jihadisti del Daesh starebbero avanzando «nel territorio originario del Califfato, cioè Irak e Siria, con un aumento qualitativo e quantitativo di attacchi negli ultimi mesi,… e nell’Africa subsahariana, conquistando città e territori e confrontandosi con forze militari governative che spesso sono impreparate».

Nonostante l’uccisione, il 27 ottobre 2019, del leader storico del Daesh, Abu Bakr al-Baghdadi, ad opera di un commando statunitense, e in seguito di altri esponenti dello Stato islamico, le cellule jihadiste hanno ricominciato ad espandersi soprattutto in Irak, nel cosiddetto triangolo della morte costituito dalle province di Kirkuk, Salah al-Din e Anbar, ma anche oltre confine nella Badiya (deserto) siriana.

Solo a marzo di quest’anno, con la diffusione della pandemia di Covid-19, il Daesh ha sospeso le operazioni di guerriglia. Ma con alcuni messaggi audio, diffusi tramite la rete, la nuova dirigenza del Daesh ha esortato in aprile gli affiliati a riprendere l’azione, approfittando della pandemia, ritenuta un segnale della giustizia divina contro l’Occidente, un’opportunità per indebolire i nemici.

Alla luce di questa “autorevole” interpretazione e dell’incitamento, durante il mese di Ramadan (23 aprile – 24 maggio) sono riprese le azioni terroristiche. In Irak sarebbero stati almeno 260 gli attentati (con alcune centinaia di morti e feriti) rivendicati dal Daesh, ed altri 180 sarebbero quelli avvenuti nei primi 5 mesi di quest’anno in Siria nella regione di Deir Ezzor e nella Badiya verso il confine irakeno. Oltre agli attacchi a veicoli militari, vi sono state anche numerose azioni intimidatorie che hanno preso di mira comunità civili, fattorie e tralicci elettrici.

Ma l’acuirsi della guerriglia di logoramento nelle regioni dell’ex Califfato ha incoraggiato la ripresa delle azioni terroristiche anche dei gruppi salafiti affiliati al Daesh presenti in Egitto, Nigeria, Niger, Mozambico e Congo.

È in Irak, comunque, che si sta svolgendo lo scontro più duro e cruento: il nuovo governo irakeno (peraltro alle prese con la pandemia e con enormi problemi sociali e politici), oltre alla nuova operazione di contrasto al Daesh denominata “Leoni dell’isola”, si trova a gestire uno spinoso problema che non sa come affrontare: nelle carceri irakene ci sono oltre 3 mila terroristi del Daesh condannati a morte da tribunali irakeni ma anche dalle Forze democratiche siriane, l’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache che hanno sconfitto sul terreno lo Stato islamico nella Siria orientale. I curdi siriani hanno consegnato all’Irak i miliziani di origine irakena catturati in Siria e condannati a morte dai loro tribunali.

Quale stato degno di questo nome potrebbe attuare, nonostante tutto, una simile mattanza? Ed è una responsabilità che ovviamente la Coalizione anti-Daesh non vuole, non può e non deve assumersi. Eppure il problema andrebbe affrontato in modo globale e solo in modo globale, per esempio commutando la pena e garantendo strutture detentive adeguate e dislocate.

 

 

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