Daccordo o d’accordo?
«Aquolina, acuolina o acquolina»? «Cuitanza, quietanza o quetanza»? «Coscienza, coscenza o cosscienza»? A porre queste domande, sul sito del Corriere della sera, una voce maschile, l’audio tratto dal dizionario di ortografia e pronunzia della Rai. Un dettato vero e proprio e la scelta fra tre risposte possibili. Un test di lingua italiana, insomma. Dedicato a chi? All’italica gente, a tutti noi.
La proposta fa seguito a quanto denunciato in una lettera al governo e al parlamento italiano qualche giorno fa da 600 docenti universitari, preoccupati e stanchi di correggere tesi dove gli strafalcioni linguistici si susseguono a iosa. “Ha” senza la acca, “qual’è” anziché “qual è”, il mancato o errato uso del congiuntivo, una erronea consecutio temporum.
Qualcuno in questi giorni ha invocato l’intervento di un novello maestro Manzi, l’insegnante che tra il ’60 e il ’68 alfabetizzò l’Italia con la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”. E forse Tullio De Mauro, il noto linguista italiano ed ex ministro recentemente scomparso, si rivolterebbe nella tomba nel leggere le tesi studentesche in questione… Ma non solo, visto che non pochi insegnanti delle scuole primarie e secondarie nel frattempo si ritrovano nei temi in classe “xkè, cmq, xò”, come da cellulare, anziché il corretto “perché, comunque, però…”. Ed è già tanto se trovano un seppur errato «daccordo» anziché una faccina o un pollice.
L’incapacità di usare correttamente la lingua italiana è diventata preoccupante. E non si sa fino a che punto si tratti solo di impreparazione nell’uso della lingua scritta o anche di difficoltà ad elaborare pensieri di senso compiuto.
Malfunzionamento di certa scuola italiana? Impreparazione dei maestri e dei professori? Responsabilità dell’eccesso di immagini in tv? Ragionamenti indotti dal modo di funzionare per schermate e link di Internet? Le ragioni sono ovviamente molteplici. La proposta della ministra della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, in risposta alla lettera dei 600, dice tra il resto: «Con la Federazione della stampa porteremo i giornali nelle classi».
La proposta non è certo nuova – altri l’hanno fatto già con un certo successo – ma ha una sua ragion d’essere, anche se a scuola dovrebbero forse essere piuttosto rivalutati Dante, Calvino e Ariosto che le cronache de il Messaggero o de la Repubblica. Ma in quanto editori, tra il resto di una rivista fatta dai ragazzi per i ragazzi – Teens si chiama, che di recente, alla XII edizione del Premio Nazionale “Città di Chiavari”, assegnato ogni anno al miglior giornalino per ragazzi, ha ottenuto una menzione speciale per «le migliori interviste e per lo spazio riservato alla scrittura dei ragazzi» –, possiamo confermare quanto nasce dalla nostra piccola esperienza: offrire agli adolescenti uno spazio di lettura e di racconto della realtà potenzia la capacità di scrittura, e quindi anche la correttezza del linguaggio usato dai ragazzi rispettando tutte (o quasi) le sue regole ortografiche, sintattiche e grammaticali. Occorre investire tempo e professionalità, è vero, ma i risultati sono incoraggianti. Capita così che la lettura in classe di un articolo di Teens susciti riflessioni approfondite e addirittura alla produzione di articoli, trasformando i ragazzi da lettori a redattori.