Da Tirana riparte il movimento dei popoli per la pace

Sullo sfondo del mausoleo del dittatore albanese che aveva eliminato ogni traccia di fede i capi delle religioni chiedono la globalizzazione della solidarietà e Andrea Riccardi chiede che non si dimentichino le energie spirituali che attraversano il mondo
Capi delle religioni a Tirana

Il quadrilatero che si apre sulla centralissima Dëshmorët e Kombit Boulevard è stato per quasi cinquant’anni il simbolo del potere dell’unico stato ufficialmente ateo del mondo: l’Albania. Il dittatore Enver Hoxha governava col pugno di ferro il questo piccolo Paese. Pochissimi avevano accesso a questa parte della capitale che ancor oggi raccoglie il Parlamento ed i vari Ministeri e che, dopo anni di ricostruzione attenta, si presenta elegante e ben curata. «Nulla a che vedere con il grigio sinistro” – mi dicono alcuni amici che vennero nei primi anni Novanta – che caratterizzava anche il cuore Tirana nei primissimi tempi successivi alla caduta del regime». Qui Hoxha aveva voluto sorgesse il suo mausoleo personale, un vero tempio ed un tentativo di perpetuare il culto della sua personalità.

Per ironia della storia, che rende sempre giustizia all’uomo, ieri sera, proprio la cupola di quello che avrebbe dovuto essere il Mausoleo del dittatore ateo che aveva eliminato le Chiese cristiane, ma anche gli imam e qualsiasi tipo di credenti, ha fatto da sfondo alla serata conclusiva del grande convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Peace is always possible, il titolo del cantiere della pace 2015, campeggiava fra i colori dell’arcobaleno voluti da una coreografia semplice, ma efficace che contraddistingue da ventinove anni questi momenti conclusivi. Su questo sfondo si sono poi accomodati circa duecento leaders di diverse religioni: si può dire che tutte o quasi tutte erano rappresentate, come mostravano i copricapo e gli indumenti caratteristici dei vari rappresentanti. Tutto il mondo che crede risponde alla sfida che per anni sembra aver trionfato in questo Paese senza una via di uscita. Attorno al palco varie migliaia di persone.

La conclusione della tre giorni è stata particolarmente significativa perché lo  sfondo era quello di un'Europa che per metà si apre alle migliaia di profughi che bussano alla sua porta e per metà insiste a costruire muri e ad avvolgere fili spinati. Il messaggio sottoscritto da tutti i leader delle religioni del mondo è stato chiaro: «Settantaanni dopo l’ecatombe nucleare e la fine della Seconda Guerra mondiale, l’umanità sembra avere dimenticato che la guerra è un’avventura senza ritorno. Sì, le guerre sembrano diventate normali e tanti sono attratti dal fascino terribile della violenza. La forza del male oggi colpisce a milioni bambini, donne, anziani, famiglie: crea combattenti prigionieri di una logica violenta e folle. Decine di milioni di profughi si affollano in Asia, ai bordi dell’Europa, e in altre zone del mondo». Ebrei, cristiani, musulmani, indù, buddhisti, sikhs, e molti altri hanno unanimemente dichiarato che «il nostro XXI secolo è a un bivio: tra rassegnazione e futuro, tra indifferenza e solidarietà. Dobbiamo globalizzare la solidarietà. Bisogna aprire le porte dei nostri cuori, i nostri paesi, perché non ci sono muri e fili spinati che possono fermare il bisogno di vivere e garantire un futuro ai propri figli».

Il monito chiaro di questi tre giorni è stato: «Alle religioni diciamo: aiutiamo il mondo a trovare una risposta umana alle guerre, alle migrazioni mondiali, alla crisi ambientale, alle tante povertà e alla domanda di senso di tanti». Il grido comune ha richiamato a far sì che «cresca un movimento di popoli per la pace e la resistenza al terrorismo e alla violenza. Lo Spirito di Assisi ci guidi a essere più audaci e coraggiosi nella ricerca della pace e nella costruzione di società dove il vivere insieme tra diversi sia pacifico e positivo».

La conclusione di questi convegni – chi vi partecipa lo sa bene – è sempre un momento emozionante che ispira pensieri e certezze di pace e muove cuori e menti. Eppure quest’anno sullo sfondo della storia che si dipana davanti ai nostri occhi e alle porte delle nostre case questi leaders provenienti da zone calde del mondo hanno riacceso speranze e certezze sulla possibilità della pace.

Oggi l’Albania si trova a testimoniare quanto Montanelli aveva affermato decenni fa: “Questa è la terra dove Cristo e Maometto camminano uno accanto all’altro”. Lo ha voluto ricordare il presidente della Repubblica di Albania, Bujar Nishani, che oltre ad aver accolto i leaders religiosi nella sua residenza, ha voluto essere presente alla serata conclusiva. «Il cristianesimo e l’islam, cattolici e ortodossi, sunniti e sciiti sono la nostra realtà trasformata in storia – ha affermato Nishani – e come tali rappresentano la coscienza più intima di ciascuno di noi. Si può davvero affermare che in questo caso la storia è maestra di vita».

Non mancano ovviamente quelli che anche di fronte a testimonianze come quelle di questi giorni a Tirana mantengono uno scetticismo di fondo che tende a scoraggiare chiunque. Andrea Riccardi, fondatore della comunità di sant'Egidio ha concluso con un monito indirizzato a tutti, a uomini e donne di pace, a coloro che la speranza la nutrono da tempo e anche a chi rimane scettico e pessimista. «Ci sono energie umane e spirituali per un mondo migliore – ha affermato Riccardi -. Per vincere la guerra. Per realizzare un mondo più felice. Ce ne siamo dimenticati? Le religioni lo ricordano a un’umanità smemorata e spaventata. E con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, testimoniano che la pace è sempre possibile. Questa è una forte convinzione e una grande speranza con cui guardare anche verso gli orizzonti bui e bellicosi. Sempre possibile è la pace. Bisogna cercarla senza paura».

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