Da Rembrandt a Picasso

L'incanto della pittura nella rassegna di capolavori che il Museum of Fine Arts di Boston espone a Rimini fino al 14 marzo.
Gauguin

L’incanto della pittura, recita il sottotitolo alla rassegna di capolavori che il Museum of Fine Arts di Boston espone a Rimini fino al 14 marzo. Ed in verità l’incantesimo che l’arte opera ogni volta che è autentica si ripete davanti a queste tele che percorrono quattro secoli di storia europea, dal Cinque al Novecento.

 

Ho davanti agli occhi il Cristo morto del Veronese, una delle ultime opere del maestro veneziano. L’antico fasto coloristico si è caricato ora di una vena argentea che rende il sudario trapassato da brividi, come fosse una rugiada mattutina; i due angeli-ragazzi, vestiti di rosa e di verde, mostrano i colori tipici delle pianure venete dopo la pioggia di primavera, come risciacquati. Sanno infatti di acquerello. Il Cristo è mostrato alla com-passione del fedele – come insegna l’arte della Controriforma- come segno di pietas, dolce e misurata, perché la religiosità di Veronese conosce l’equilibrio delle poche parole.

 

Il san Domenico del Greco, sotto il cielo sempre temporalesco e gli alberi illividiti, vede il santo in preghiera, gigantesca sagoma bianconera il cui fervore si concentra sul volto pallidissimo. Siamo nella mistica più alta in pittura come il Cristo dopo la flagellazione di Zurbaràn, a cui certo ha guardato Mel Gibson nel suo film The Passion.

 

Dal sacro alla ritrattistica. Il reverendo Elison di Rembrandt è colto nel gesto dignitoso del suo ruolo di pastore, ma il pittore va ben oltre l’apparenza esterna per disegnare al di là della gorgiera e della barba bianca, un volto di nobiltà grave, di saggezza antica, biblica si direbbe, visti i volumi arrotolati accanto. Stessa gravità, unita ad una diffidenza cupa è nello sguardo del poeta Gòngora del Velàzquez, nero su nero, se non fosse per il pallore cadaverico del viso e il colletto bianco da cui si affaccia quest’uomo severo come i suoi drammi. Ogni ritratto qui è un mondo.

 

Per fortuna, Corot ritrae una Fanciulla con una ghirlanda di fiori, nel 1870. Corot è meraviglioso nello sfumare le tinte, le luci, i sentimenti. Pittore delle ombre passeggere, dei trapassi di luce sui roseti e i cieli vaporosi, è un poeta lirico delicatissimo, si direbbe una sorta di Pascoli in pittura.

 

Ogni sua tela, mai carica, sempre intensa, quasi nebbiosa è un mondo psicologico che parla di affetti nascosti, di nature che aspettano di essere scoperte. Corot è l’innocenza della pittura impressionista. Ma questa innocenza è ricca di vita e lo dice Renoir nei suoi Bambini sulla spiaggia. L’infanzia è osservata da lui con una simpatia complice. Basta osservare nella pennellata sfatta, nei colori che corrono gli uni dietro agli altri, come un vento, l’amore per una vita ancora pura da parte dell’artista, che crea nei bambini le sue opere forse più poetiche.

 

Poi, c’è la natura. Braque la descrive in una sintesi geometrica e solida nello stesso tempo, Matisse invece la scopre, nel 1924, irradiante luminosità nel Vaso di fiori aperto sul mare,in una estate dai colori chiari, sensuali, che non ha fine. Monet osserva la Casa di pescatori sugli scogli e scopre il vento che mormora sul mare e sulla natura intorno, con un fremito coloristico fatto di pennellate fitte ed increspate; mentre van Gogh nelle Case ad Auvers le vede anelanti ad un altro universo, come lo è egli stesso.

La passeggiata tra gli incanti dell’arte finisce qui, anche se non tutti i capolavori in mostra sono stati citati. Ma per questo vale la pena salire o scendere a Rimini. Che non è solo l’estate del divertimento, ma un città di cultura.

 

Rimini, Castel Sismondo. Fino al 14/3 (catalogo Linea d’ombra).

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