Da qui si guarda lontano
Se vi succede di atterrare a Lisbona in una giornata nitida, anche se invernale, tenete gli occhiali da sole a portata di mano, potreste averne bisogno. La luminosità è, infatti, una delle caratteristiche del Paese che balza subito, è il caso di dirlo, agli occhi. Non si può fare a meno di notare nemmeno la bellezza del paesaggio; basta, ad esempio, percorrere la litoranea che dalla capitale porta verso Sud per rimanere ammirati dall’imponenza del fiume Tejo, il corso d’acqua più esteso della penisola iberica, la cui ampiezza si confonde per lunghi tratti con quella dell’Oceano Atlantico. E come non farsi conquistare dalle prelibatezze culinarie?
Un Paese felice, dunque? Al turista ha molto da dire e da dare, senz’altro. I suoi abitanti vivono, come tanti altri concittadini d’Europa, e più di altri, le sfide di una crisi che vede aumentare indebitamento e disoccupazione. Il Portogallo in questi anni, dalla fine della dittatura nel ’74, ha cercato di modificare sé stesso. Una tappa significativa è stata senz’altro il suo ingresso nell’Unione europea avvenuto nel 1986, ma come per tanti altri Paesi questo non ha coinciso con una stabilità economica, che è ancora lontana da venire. Il 15 per cento della popolazione (poco più di 10 milioni di abitanti) è disoccupato, in un Paese dove la pesca rappresenta una fonte di reddito importante, l’agricoltura fornisce solo il 4 per cento del Prodotto interno lordo e si è sviluppata un’economia sempre più basata sui servizi e sul settore terziario, che determina il 66 per cento del Pil e occupa la metà della forza lavoro del Paese. Un quadro in cui si registra una certa ripresa dell’emigrazione, per i tanti giovani laureati costretti a partire, mentre sempre più immigrati debbono tornare a casa perché qui oramai non trovano lavoro.
La religiosità popolare è molto viva in Portogallo e certo la presenza di un luogo così particolare come Fatima, coi suoi oltre sette milioni di pellegrini l’anno, non può non influire sul resto del Paese. Ma scristianizzazione e anticlericalismo influenzano alcuni dei diciotto distretti amministrativi in cui esso è diviso. Uno di questi è proprio quello che gravita attorno alla capitale; ed è proprio qui che da circa 16 anni è sorta una delle cittadelle del Movimento dei focolari, chiamata Arco Iris, arcobaleno. «È stato proprio l’allora cardinale di Lisbona, mons. Antonio Ribeiro, a esprimere il desiderio che sorgesse in questa regione un centro di testimonianza evangelica – mi raccontano gli attuali responsabili della cittadella, Teresa Guedes e Antonio Alberto Oliveira –. Per questo nel ’96, col concorso economico di tanti amici del movimento in Portogallo, siamo riusciti ad acquistare sette ettari di terreno agricolo, sui quali sarebbero sorte le diverse strutture che la compongono».
La posizione è favorevole. Distante 50 chilometri dalla capitale, la maggior parte dei quali si percorrono in autostrada, è situata in una frazione del comune di Alenquer che si chiama Abrigada, un nome che vuol dire “protetta dai venti”. A questo provvede la collina che la sovrasta a poca distanza, il Montejunto, e non son pochi quelli che vedono in questo nome quasi la metafora di un luogo dove si viene protetti dai venti minacciosi del nostro tempo.
Mattone dopo mattone, a seconda della disponibilità economica, si costruiscono le case, ma ancor più velocemente si edifica la comunità. Se attualmente sono 51 le persone che vivono nella cittadella, molte di più sono quelle che la visitano. Qui vengono gruppi legati in diverso modo al movimento, ma anche altri che vogliono conoscerlo o, più semplicemente, desiderosi di prendere una boccata d’ossigeno spirituale, dalle diocesi e dalle città vicine e lontane.
Sin dall’inizio una sua caratteristica è stata la presenza giovanile. «Qui noi giovani sappiamo di avere una casa», riferiscono alcune studenti che hanno scelto di fare i pendolari con Lisbona pur di vivere un’esperienza di condivisione in una delle abitazioni della cittadella. E a far “casa” non è solo la disponibilità di due appartamentini tutti per loro dove poter soggiornare stabilmente o per periodi più o meno brevi; è la comunità in sé che accoglie giovani da tutto il Paese per varie iniziative. Quella che ne coinvolge di più, circa un migliaio, è la manifestazione del primo maggio, un appuntamento ormai conosciuto e atteso. Ma non mancano appuntamenti per ragazzi e bambini che volentieri convergono ad Abrigada. E sono numerose le famiglie che aspettano di poter costruire qui il loro futuro e la loro casa.
La cittadella Arco Iris, però, non è nata solo in risposta alla richiesta del vescovo locale; a volerla fortemente, sono stati gli stessi abitanti del posto e le autorità civili. Negli anni precedenti all’acquisto del terreno, le persone del movimento venivano ad Abrigada a tenere i loro incontri di più giorni presso un istituto religioso. Colpiva la testimonianza di rapporti basati sul Vangelo, la compresenza di persone di ceto diverso, il fatto, ad esempio, che ragazzi del movimento non avessero alcun problema a svolgere delle attività di intrattenimento coi bambini poveri del posto, in un ambiente dove la Chiesa veniva ancora identificata coi ricchi, così com’era per lo più durante la dittatura salazarista. Così, quando è arrivato il momento di cercare un posto adatto ai nuovi sviluppi del movimento, lo stesso sindaco ha insistito perché i focolarini rimanessero sul territorio del comune, come in effetti è poi avvenuto.
Dall’integrazione con la popolazione locale, nel 2005 è nato, all’interno della cittadella, un centro di riabilitazione fisica, finanziato per due anni da un programma del ministero della Salute e della Previdenza sociale, per il sostegno integrato alla persona anziana e disabile. L’arredamento e gli apparecchi terapeutici sono stati in parte offerti o venduti a prezzo simbolico da diversi enti, considerati i fini sociali del progetto. Qui, infatti, affluisce un vasto bacino di popolazione che diversamente dovrebbe andare molto lontano per curarsi, e può usufruire di servizi ambulatoriali basati in gran parte sul volontariato, stante la povertà diffusa della regione.
In risposta alla crisi dell’economia, è poi sorto il “Polo Giosi Guella”, dove attualmente operano tre aziende, capofila delle numerose che aderiscono all’Economia di Comunione presenti nel Paese. La prima impresa insediata, la Ecnal, si occupa di consulenza aziendale a vari livelli: qualità, ambiente, sicurezza, gestione di beni immobiliari. Operano poi la Sagec 18-20, che offre servizi di contabilità e medicina del lavoro, e la Redcap, che svolge la sua attività nel campo del riciclaggio di plastica e cartone. Un’impresa nell’impresa, verrebbe da dire, è avviare nuove attività in un periodo di recessione economica. Forse proprio per questo gli imprenditori sono spesso chiamati a parlare dell’Economia di Comunione, sia in convegni promossi dalla Chiesa che in ambienti laici, vengono intervistati da radio e tivù locali e nazionali.
Un polo modesto, per ora, che però guarda lontano. Un polo che a sua volta è guardato da lontano, come uno di quei fari che delimitano un Paese per metà lambito dal mare.