Da N come Nadzeya a S come Shin

Continua la carrellata di atleti, di episodi e di curiosità che hanno caratterizzato le olimpiadi londinesi
Olimpiadi

N come Nadzeya Ostapchuk. Qualche volta la lotta (ancora impari) tra chi cerca di “imbrogliare” e chi controlla che le gare si svolgano nella maniera più pulita possibile, vede i secondi mettere a segno qualche punto a proprio favore. E’ quanto avvenuto ad esempio in occasione del caso Schwazer, risultato positivo a un controllo effettuato prima dell’inizio delle Olimpiadi, a dimostrazione che spesso i controlli del CIO (il Comitato Olimpico Internazionale) funzionano davvero. A Londra sono stati raccolti più di 6.000 campioni di urina e sangue, e dopo l’esclusione di alcuni atleti “di secondo piano”, il giorno dopo la chiusura dei Giochi è stata squalificata, e privata della medaglia d’oro per uso di sostanze dopanti (metenolone, un anabolizzante), la bielorussa Nadzeya Ostapchuk, prima nel lancio del peso. Altri test sono ancora in corso di analisi, speriamo che quello della pesista sia l’ultimo caso di doping di questi giochi a cinque cerchi.
 
O come Oscar Pistorius. Per la prima volta un atleta amputato a entrambe le gambe, il sudafricano Oscar Pistorius, ha partecipato alle Olimpiadi. Una presenza altamente simbolica, pur tra pareri contrastanti: giusto farlo gareggiare insieme ai “normodotati” o le sue protesi super tecnologiche possono offrirgli troppi vantaggi? Difficile stabilirlo con certezza assoluta. Non essendoci prove documentabili circa l’effettivo beneficio procurato dalle protesi di Oscar, dal 2008 il Tribunale d’arbitrato dello sport gli ha dato il via libera per potersi confrontare con gli atleti “normodotati”. ̀ Per carità, ognuno è libero di rimanere della propria idea, ma forse il modo migliore per approcciarsi alla sfida di Oscar è quello di osservarla semplicemente, senza doverla enfatizzare più del dovuto, ma senza neppure doverla distinguerla dalla storia di tanti altri atleti “normodotati” che come lui hanno sognato, hanno lottato, e si sono impegnati con tutte le loro forze per realizzare il sogno di partecipare a una Olimpiade.
P come “prima volta”. Sono sette i Paesi che a Londra si sono aggiudicati una medaglia olimpica per la prima volta nella loro storia. Ci sono riusciti due Stati africani come il Gabon, che ha portato a casa una medaglia d’argento nel taekwondo grazie a Anthony Obame, e come il Botswana, giunto al primo podio a cinque cerchi per merito del mezzofondista Nigel Amos, secondo negli 800 metri maschili. Ma ci sono riusciti anche Paesi asiatici come il Bahrain, nazioni europee come Cipro e Montenegro, e anche Stati dell’America Centrale come il Guatemala o come la piccola isola caraibica di Grenada, in quest’ultimo caso grazie alla vittoria di Kirani James nei 400 metri. In ognuno di questi sette Paesi le medaglie conquistate alle Olimpiadi hanno determinato una sorta di festa nazionale, perché in questi giorni di loro si parla nel resto del mondo e questo rappresenta grande motivo d’orgoglio.
 
Q come “quelli che accettano una sconfitta immeritata”. Ha dominato l’ecuadoregno Perea Castillo nel primo match del torneo. Ha sofferto nei quarti, opposto al marocchino Arjaoui. Poi, in semifinale, ha battuto di misura l’azzero Medzhidov. Superando il pugile sul ring, e soprattutto sconfiggendo le “resistenze” di una giuria fortemente condizionata (come nel match tra il nostro Clemente Russo e l’altro azzero Mammadov) dai milioni che un magnate di quel Paese versa nelle casse della Federazione mondiale di questo sport. Nulla sembrava poterlo fermare. Invece in finale, opposto al pugile di casa Anthony Joshua, Roberto Cammarelle è stato penalizzato da una giuria che, a detta di tutti gli addetti ai lavori, ha clamorosamente sbagliato. Perfino gli stessi allenatori dell’inglese sono andati a scusarsi con il tecnico italiano dopo l’incontro: anche per loro Cammarelle avrebbe meritato di vincere. Eppure il nostro pugile, alla sue terza medaglia olimpica dopo il bronzo conquistato ad Atene 2004 e l’oro di quattro anni fa a Pechino, ha accettato questo “scippo” con giustificabile amarezza, ma anche con un contegno tutto da ammirare.
 
R come rivincita. Nelle ultime edizioni olimpiche, la nostra nazionale maschile di tiro con l’arco si era sempre ben comportata: bronzo ad Atlanta, nel 1996, argento a Sidney, nel 2000, e ancora argento a Pechino, quattro anni fa, dove però i nostri ragazzi persero la medaglia d’oro solo all’ultima freccia, un risultato sportivo difficile da “digerire”. A Londra, nella finale contro gli Stati Uniti, per vincere e salire sul gradino più alto del podio, agli azzurri, nell’ultimo tiro, occorreva un dieci. Michele Frangilli non ha avuto esitazioni, ha scagliato la sua freccia a una velocità che ha sfiorato i 215 chilometri l’ora, e ha colpito il centro del bersaglio da una distanza di 70 metri: medaglia d’oro! Anche nello sport, come nella vita, a volte è concessa una seconda possibilità, e i nostri arcieri, a quattro anni di distanza da un’occasione svanita di un soffio, questa volta hanno saputo coglierla e si sono presi la loro rivincita sportiva.   
 
S come Shin A Lam. Un’ora a capo chino, senza voler abbandonare la pedana dell’ExCel Centre, l’impianto dove si sono svolte le prove di scherma. Un pianto inconsolabile, senza freni, mentre il pubblico presente cercava di sostenerla con un applauso senza fine. La sudcoreana Shin A Lam ha vissuto il suo piccolo dramma olimpico quando, al termine della semifinale della prova di spada individuale, la sua rivale, la tedesca Heidemann, ha piazzato la stoccata vincente e si è aggiudicata l’incontro che l’ha portata in finale. I tecnici asiatici hanno fatto però notare alla giuria che nell’ultimo secondo di gara le due atlete erano state messe in guardia dall’arbitro per ben tre volte, e che in quel piccolissimo lasso di tempo avevano quindi tirato tre stoccate (l’ultima delle quali aveva dato appunto la vittoria alla tedesca). Impossibile, in un solo secondo. Ne sono conseguiti proteste, appelli, ma tutto è stato inutile: anche davanti all’evidenza dell’errore tecnico le cose non sono state cambiate. Alla fine la schermitrice sudcoreana, visibilmente provata, ha perso anche la finalina per la medaglia di bronzo ma si è potuta consolare, almeno parzialmente, con la vittoria della medaglia d’argento nella prova a squadre.
 

Foto di Giovanna Santoro

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