Da Mattarella a Zuppi: spezzare la logica della guerra

Messaggi intensi di inizio anno del presidente della Repubblica e del presidente della Cei. L’evidenza della povertà di un pensiero politico incapace di affrontare la complessità di una crisi che mette a rischio l’umanità intera. Il contributo di lettura del filosofo Mauro Ceruti
ANSA/UFFICIO STAMPA QUIRINALE/PAOLO GIANDOTTI

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha colto la contraddizione di fondo: la spesa militare è otto volte quella per il clima. Questa è la principale conseguenza della povertà del pensiero politico e della sua concretizzazione storica in tempi di preoccupante cambiamento climatico.

Ha poi messo in evidenza che mai come adesso la pace, di cui l’Unione europea è storica espressione, grida la sua urgenza ed ha sottolineato la barbarie di uomini che uccidono donne.

«Vi è bisogno di riorientare la convivenza, il modo di vivere insieme. In questo periodo sembra che il mondo sia sottoposto a una allarmante forza centrifuga, capace di dividere, di allontanare, di radicalizzare le contrapposizioni.  …A livello globale aumenta la ricchezza di pochissimi mentre si espande la povertà di tanti».

 Si tratta, in altri termini, di fare una rivoluzione culturale verso un nuovo umanesimo planetario, di umanizzare la modernità. Già nel discorso del 17 dicembre ai rappresentanti delle istituzioni, Mattarella aveva lanciato un monito contro la politica dello scontro.

La democrazia, infatti, è minacciata dal clima di guerra, odio, imbarbarimento del linguaggio in politica e nella comunicazione. Nelle stesse ore, Il filosofo Mauro Ceruti su L’ Eco di Bergamo del 30 dicembre, ci ha ricordato la sfida del mondo globale in vista del nuovo anno. «Il simultaneo aumento di interdipendenza planetaria e di potenza tecnologica impone un nuovo paradigma, un nuovo codice comportamentale».

Cosa possiamo sperare nel tempo della policrisi? «La politica di oggi appare troppo carica di problemi e troppo svuotata di pensiero, quantomeno del pensiero adeguato a comprendere e fronteggiare tali problemi …. Nella povertà del pensiero politico dominano le idee più semplificatrici…. La sfida di un pensiero complesso…dovrà legare riforma della politica, riforma della democrazia, riforma dell’educazione e riforma del pensiero. …La coscienza della complessità ci fa capire che il futuro sarà il risultato di processi emergenti, in cui entrano in gioco molteplici variabili e dimensioni. …Questa accelerazione consegna oggi alla politica sfide gigantesche. …il problema principale è l’intrico dei problemi, tutti vitali e mortali, che segna il nostro tempo: quelli della finanziarizzazione dell’economia, del cambiamento climatico, dell’ecologia, della demografia, delle possibili pandemie, dell’escalation di guerre locali».

Viviamo un grande paradosso: la politica è chiamata ad occuparsi dei problemi più complessi e vitali ma è dominata da decenni dal pensiero meno complesso, dal pensiero unico del mercato che risolve tutto e che si autoregola.

Domina il populismo con le sue idee semplificatrici e sollecitazioni irrazionali della rabbia e del risentimento. Tutto è connesso. Tutti siamo in relazione e sarebbe possibile una comprensione reciproca mentre aumenta l’incomprensione nel mondo. Disponiamo di una tecnologia che ha permesso di unificare il pianeta ma essa è la stessa che porta guerre e possibilità di distruzione.

Osserviamo molti politici e vediamo spesso un pensiero manicheo, fazioso, chiuso, dogmatico, fanatico. Troppa propaganda e demagogia allontanano milioni di elettori dalle urne. Eppure, mai nella storia l’umanità si è percepita come unica umanità come oggi, di fronte a problemi comuni: cambiamento climatico, epidemie, catastrofe nucleare possibile, riduzione della biodiversità, migrazioni bibliche, esaurimento delle risorse naturali.

L’ affermarsi di sovranismi e nazionalismi identitari nei Paesi democratici significa prendere esattamente la direzione opposta all’unità nella diversità.  Solo un avvenire planetario invece ci salverà con l’affermarsi di modelli di integrazione politica e culturale sull’ esempio di una UE, realtà politica una e molteplice.

Nel nuovo anno e nei prossimi decenni serve una politica in grado di accettare la sfida della complessità e della fraternità universale. Essa è il farmaco per la policrisi in atto ma servono nuovi statisti con visioni a medio- lungo termine. Altrimenti si affermerà un tecno- liberismo sfrenato e pericoloso per un futuro sostenibile.

Non dimentichiamo che ormai ha fatto irruzione sulla scena mondiale la Terra come soggetto attivo e reattivo con il quale fare i conti. Il mondo ha bisogno, in conclusione, di un pensiero politico in grado di umanizzare la Modernità, di rinnovare con pratiche partecipative ed inclusive le democrazie, forme di governo più adatte a governare la complessità visto il riconoscimento di dissenso e diversità.

Apriamo vie nuove verso una democrazia non solo rappresentativa ma anche dell’esercizio, dell’interazione, della prossimità, basati sul rapporto di fiducia tra governanti e governati, sul partenariato con la Terra, a partire dai territori locali.

Il card. Zuppi, presidente dei vescovi italiani, ha augurato che questo anno di Giubileo sia davvero un anno di speranza. «Dove c’è la rassegnazione, il fatalismo e la disperazione si accenda una piccola luce di speranza. Il nostro Signore è venuto per questo, per farci vedere l’amore, il suo amore, che accende la speranza. La speranza e la pace».

Per concretizzare il suo impegno come delegato del papa per la pace in Ucraina, Zuppi ha partecipato il primo gennaio a Bologna, alla Marcia della pace dell’accoglienza. Per la Giornata mondiale ha consegnato il Messaggio di papa Francesco “Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la pace“.

Appare chiaro a Zuppi l’intreccio nella sfida globale tra remissione dei debiti a livello internazionale, giustizia sociale, sviluppo sostenibile, dialogo multilaterale, pace. Il 18 dicembre aveva dichiarato che la guerra è ” incontrollabile “. C’è una “logica” nella evoluzione della guerra a livello globale. Dal Medio Oriente all’ Ucraina, fino all’ Africa e al sud-est asiatico, il tentativo di tenere sotto controllo il rischio escalation da parte della comunità internazionale, è quanto di più utopico e inutile.

Serve un cambio di paradigma, come ben illustrato da Ceruti, prima che sia troppo tardi. Va spezzata la “logica” della guerra, ormai incompatibile con la sopravvivenza dell’umanità sul pianeta.

«Ci preoccupiamo troppo poco della guerra» visti i rischi globali. La violenza della guerra ha una volontà ferrea ed una “evoluzione geometrica” che può evolvere purtroppo sempre al rialzo se non si trovano soluzioni alternative

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