Da Henze a Mozart
Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia. Hans Werner Henze compie 80 anni. Al tedesco innamorato della luce italiana – vive fra 86 ulivi a Marino, a due passi da Roma – l’Accademia dedica una festa musicale, con tre opere di giovani autori. Deliziosamente soffice è Lullaby for Hans, ninnananna dell’inglese Mark- Anthony Turnage, ingorde di suoni virtuosistici sono poi le Otto miniature per clarinetto e archi del solista Jorg Widmann, esplosiva e tonante la Giga d e l l ‘ a b ruzze s e Francesco Antonioni, classe 1971. Tre opere commissionate per l’occasione dall’Accademia, a provare i talenti giovani in una ricerca, oltre le fascinazioni tecniche, di ispirazioni più profonde. Basta riudire i Sette Boleri per grande orchestra, anno 1998, di Henze, per sondare una costruzione formidabile, un carattere forte e fiero, una sensibilità tra il lancinante il metafisico e il giocoso che fa dell’orchestra una macchina cosmica di ritmi, di colori striscianti, di ritmi ampi che danno a chi ascolta un senso appagante di vastità. Specie se l’orchestra, guidata con dedizione da Pascal Rophé, ci crede, come in effetti è accaduto. Henze, uno dei massimi autori contemporanei, è stato preceduto dalla versione semiscenica della mozartiana Così fan tutte. Ben poco giocosa, l’opera respira un clima di crisi morale, esplorato più che con cinismo, con preoccupazione: nascosta sotto arie e concertati di finissima porcellana musicale. Il tema sotteso è la tentazione che porta ad alleggerire colpevolmente rapporti e valori, sotto l’occhio di una ragione (don Alfonso) intristita. Mozart, come sempre, dice la verità con una vena tenera e maliziosa, ma in effetti implacabile come la tentazione. Commedia di una società che cambia, per cui giustamente Daniele Abbado l’ha trasportata agli anni Cinquanta, insistendo su pruderie e scivoloni sentimentali con un balletto di cantanti- attori scatenati, come la regia. Un poco è mancata la misura. Per questo l’interpretazione del dotato direttore Roland Boer (36 anni), con tempi tesi a non lasciar quasi respiro alla distensione di arie e duetti, se ha vivacizzato lo spettacolo per la gioia del pubblico, ha dato del testo mozartiano una visione – diciamo così – più rossiniana che altro. Buona la compagnia di canto, fra cui spicca Alex Esposito, baritono elegante, intonato e fresco e la sempre perspicace Laura Polverelli. Vivace la resa dell’orchestra, da cui il direttore, dal gesto aguzzo e vigile, ha ottenuto il chiarore in ogni sezione (le viole!) e la sottolineatura dell’intreccio polifonico strumentale. CARMEN, CIOÈ LA PASSIONE? Roma, Globe Theatre S.Toti. Operaoggi, compagnia decisa a portare l’opera in luoghi non di culto, ha rivisitato il capolavoro di Bizet, disossandolo fino al nodo cruciale amore-morte. Puntato sull’emotività e privo della favolosa invenzione spagnola dell’autore, il dramma ha coraggiosamente buttato sul palco scabro la vicenda di Carmen e don José, sostenuta dall’orchestra volenterosa, essenziale, diretta da Nicoletta Conti. Fra dialoghi parlati (pochi) adattamenti ritmici dei pezzi più celebri, la musica di Bizet è apparsa vincente, anche se scarnificata. Un poco prevedibile la regia di Franco Ripa di Meana, con un gruppo di cantanti- attori di diseguale qualità (tranne la limpida Micaela di Michelle Buscemi), che tuttavia ha il pregio, forzando il binomio fato-passione, di aver suscitato la voglia di riandare all’originale. Che non è solo passione, per fortuna. Ma una atmosfera che diremmo mediterraneità.