Da Harward il primo ministro del Tibet

Dopo l'annuncio del Dalai Lama di abdicare al suo ruolo politico, il buddismo volta pagina e separa il potere spirituale dalla guida del Paese 
Primo ministro tibetano

Il governo in esilio del Tibet ha un nuovo Kalon Tripa, Primo ministro, Lobsang Sangay. In perfetta sintonia con il mondo globalizzato l’uomo nuovo della faccia amministrativa dei tibetani in esilio è un ricercatore di Harward, che prende il posto di Samdhong Rinpoche, in un momento particolarmente delicato perché seguito al recente annuncio del Dalai Lama di rinunciare completamente al suo ruolo politico.

 

Anche per il buddhismo tibetano, da secoli legato alla tradizione di individuare la reincarnazione che avrebbe guidato il popolo del Tetto del Mondo, si volta pagina. Il coraggio del Dalai Lama che aveva, nei mesi scorsi annunciato il suo ritiro da compiti politico-amministrativi è ora sfociato in questo giovane, nato in India, da genitori fuggiti da Tibet che non ha mai potuto visitare la terra di cui ora, agli occhi del mondo,è il referente politico.Il governo in esilio del Tibet ha quindi un nuovo Kalon Tripa. Eletto secondo i metodi della democrazia, con elezioni a suffragio diretto, tenutesi nel marzo scorso presso le diverse diaspore tibetane nel mondo è ora a risultati annunciati il nuovo capo politico .

 

Il giornalista indiano Vijay Kranti, che conosce a fondo le problematiche dei Tibetani in esilio, soprattutto in India, ha dichiarato che «A chi ha guardato questa scena da lontano – o l’ha considerata semplicemente una nuova, veloce dimensione dello scontro frontale con la Cina – la decisione del Dalai Lama potrebbe essere sembrata eccessiva, oppure una dimostrazione della sua disperazione per aver fallito nelle trattative con la controparte cinese. Ma, a chi invece ha seguito con attenzione le mosse politiche del leader buddista sin dai primi anni del suo esilio, l’annuncio del 10 marzo è sembrato soltanto quello che è: la logica conclusione di un processo iniziato 50 anni fa. Quel processo aveva e ha lo scopo di creare una macchina politica alternativa, efficace e di lunga durata per mantenere in piedi la questione tibetana anche dopo la sua morte».

Da parte sua, Sangay, dopo l’elezione ha rivolto un chiaro messaggio al suo popolo in esilio: «Il vostro ampio sostegno è emozionante, ed io farò quanto mi è possibile per non deludere le vostre aspettative. Rivolgo un appello – ha concluso – a tutti i tibetani ed agli amici del Tibet ad unirsi a me nello sforzo comune per alleviare le sofferenze dei tibetani nel Tibet occupato e per permettere il ritorno di Sua Santità nel posto a cui ha diritto: il Palazzo di Potala».

Si tratta di una svolta fondamentale non solo per il Tibet e la sua identità culturale e politica ma anche per il buddismo tibetano che per la prima volta tenta di distinguere l’autorità spirituale da quella politica.

 

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