Da Guercino a Caravaggio
Che titolo originale: non sarebbe stato meglio dire, rispettando la cronologia, da Caravaggio a Guercino? E invece la rassegna romana di Palazzo Barberini viaggia all’opposto. Non è una stranezza, perchè la mostra – voluta per celebrare sir Denis Mahon, grande collezionista inglese, scomparso nel 2011, riscopritore del ‘600, di Caravaggio e Guercino soprattutto -, in poche decine di quadri (meno male, siamo stanchi di mostre-monstre) racconta cosa è successo con l’irruzione di Caravaggio: uno di quei fenomeni che cambiano il corso alla storia dell’arte (come Michelangelo, Giotto, Rembrandt, Tiziano,Cézanne e amici).
E’ cambiato tutto, cioè l’anima: il modo di sentire, di vedere, di pensare, di immaginare e di fare. Non è tanto per i soggetti, come ancora si crede- chi conosce la pittura lombarda precaravaggesca lo sa – quanto per il “come” la si rappresenta, la si coglie. La si dona. Caravaggio entra nell’anima dell’uomo, vi si affonda: il san Francesco in preghiera da Cremona- poco noto – è capolavoro di struggimento angoscioso. Basti osservare la fronte contratta nella meditazione, il saio rozzo e peloso, il colore spento. Tacciono i sensi, l’anima gode e soffre, com’è dei mistici. E ci fermiamo qui, senza citare le altre sue opere in mostra, ma senza dimenticare il Suonatore di liuto dall’Ermitage. Giovani suonatori li avevano già dipinti i maestri rinascimentali- Giorgione ,Tiziano, e così’ via -: ma qui v’è il languore sensuale tutto barocco della musica come suono che sollecita i sensi, e li rende palpitanti come la natura, il mazzo di fiori, lo strumento poggiato sul tavolo. Realismo delle cose e dell’anima, impressionante.
Partendo da lui, si comprendono gli altri. Il mondo delle “dolcissime ombre” del Guercino, melodrammi tenerissimi, Cristi dolci ma non svenevoli, cavalieri e anziani forti e soavi, Madonne affettuose, nature che ricordano i versi lirici del Tasso. Guercino,così amato da Mahon, è artista che interpreta Caravaggio a suo modo, ossia ne coglie l’anima infiammata, brutale, ma smorza la fiamma, toglie la brutalità e racconta il mondo vero unendolo a quello sognato in una “temperanza” del colore caldo e bello, che fa tutto fresco, armonioso, con una ipersensibilità notturna così vicina al Tasso.
Il napoletano Battistello Caracciolo invece insiste sul “brutto” e ci offre un Davide ragazzaccio dei bassifondi, incattivito a mostrare un orrendo Golia. Non è così per il “divino” Guido Reni. La dolcezza serena anche nel dolore, la classicità delle forme, il colore straordinariamente inventivo – i viola della tela Atalanta e Ippomene sono favolosi -, la scioltezza del pennello dicono di un’arte che si eleva costantemente sopra la realtà umana senza dimenticarla ( la tela stupenda della giovane Maria tra le compagne in una sartoria) , ma togliendole la negritudine per trovarne il sentimento della bellezza che viene da Raffaello e dai classici.
A chiudere, Poussin delicato, e poi i bolognesi Domenichino – l’Assunzione della Maddalena è un purissimo volo – e poi Annibale Carracci,così denso nei paesaggi. Caravaggio fa da spartiacque tra due secoli, come un Napoleone dell’arte. Gli altri pittori vivono della sua luce, ma hanno ciascuno la forza di essere sé stessi e di dire una delle tante parole di cui è viva la storia del Seicento italiano. Mahon l’aveva capito, in un’epoca – i primi del ‘900 – che la disprezzava.
Roma, Palazzo Barberini fino all’8 febbraio (catalogo L’Erma di Bretschneider)