Da grande farò il carbon manager
Una professione nuova, poco conosciuta, e con buone probabilità di essere in futuro molto richiesta: una prospettiva occupazionale aperta dalla green economy.
Se il mercato del lavoro del presente non va, allora buttiamoci su quello del futuro. Dev’essere questo – più o meno – il ragionamento che hanno fatto i 120 giovani che l’autunno scorso hanno tentato l’ammissione al corso per carbon manager organizzato da Cultura d’impresa, ente di formazione accreditato presso la Regione Lazio. I posti erano appena 18. «Questo corso – spiega Claudio Bucci, direttore dell’ente – è nato in risposta ad un bando regionale volto a formare esperti per un settore, quello delle certificazioni ambientali, in cui la normativa sempre più complessa richiede competenze precise». Al progetto si è associata un’azienda di consulenza ambientale di Roma, AzzeroCO2, creata da Legambiente e Kyoto Club: «Occupandoci di quantificazione e riduzione delle emissioni, misure per implementare l’efficienza energetica e la mobilità sostenibile – spiega Thilo Pommerening, responsabile del settore crediti CO2 e certificati bianchi – quella del carbon manager è una figura professionale che ci interessa direttamente».
A questo punto, è legittimo chiedersi che cosa faccia esattamente nella vita un carbon manager. Tutto nasce dal Protocollo di Kyoto, che ha posto in capo non solo agli Stati ma anche alle aziende – almeno in alcuni settori – impegni precisi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. C’è quindi bisogno di qualcuno che le sappia valutare, e di conseguenza mettere a punto metodi per ridurle oppure per compensarle (ad esempio con progetti di riforestazione). Ma l’aspetto forse più interessante è che le emissioni possono essere scambiate sul mercato tramite il meccanismo dei crediti: se un’azienda riduce il proprio impatto ambientale su questo fronte, può vendere i “crediti” così guadagnati a chi invece supera i limiti consentiti e così coprire le spese sostenute. «Si tratta di un profilo professionale polivalente – precisa Bucci – non legato esclusivamente all’ambito della certificazione e riduzione delle emissioni di anidride carbonica, ma al mercato ambientale in senso lato, oltre che al campo della finanza e del diritto internazionale». Ad AzzeroCO2 confermano: «È una figura innovativa, che si è creata negli ultimi anni e che impieghiamo in diversi settori: dagli uffici tecnici, a quelli per i progetti di riforestazione, fino alle fonti rinnovabili e alla gestione dei rifiuti». Non a caso, la classe del corso che si tiene a Roma è formata da giovani che hanno alle spalle percorsi di studio e di lavoro molto diversi.
Nel nostro Paese non esiste – almeno per ora – un percorso di formazione specifico al di fuori di corsi come questi: «Noi impieghiamo esperti di comunicazione, ingegneri, architetti – prosegue Pommerening – che abbiano competenze nel settore ambientale. Il corso è nato appunto per mettere insieme tutte le esperienze e il know-how». Un settore del mercato del lavoro, quindi, del tutto nuovo in Italia: «All’estero, ad esempio in Germania, è già più strutturato – nota Bucci – mentre da noi è ancora troppo presto per fare una stima attendibile sulla sua espansione e sulla reale richiesta di queste figure». Copenhagen, infatti, non è stata una delusione solo per gli ambientalisti: «Questo settore di nicchia – prosegue il formatore – non è esploso anche a causa della battuta d’arresto che si è registrata in Danimarca: l’incertezza su quello che sarà il futuro del Protocollo, oltre che il mercato, ha frenato anche la formazione, perché non esiste una “dottrina” precisa». Le prospettive, comunque, sembrano buone: «Il settore è in crescita nonostante la crisi – afferma Pommerening – ed è addirittura raddoppiato il cosiddetto “mercato volontario”, ossia quelle aziende che, pur non avendo obblighi in questo senso, decidono di ridurre le emissioni per poi vendere i crediti». In sostanza, per dirla con Bucci, «c’è incertezza sui tempi, ma non sulle competenze: dalle imprese, agli enti di certificazione, alle agenzie governative, potenzialmente tutti possono aver bisogno di un carbon manager in futuro, perché la riduzione dei gas serra è una necessità».
Belle parole, che però i frequentanti del corso aspettano di veder concretizzate: la formazione si conclude con 200 ore di stage in azienda. «Chiaramente c’è un interesse reciproco – dichiara Pommerening – perché, appunto, si tratta di una figura professionale che impieghiamo nei campi più svariati». Sebbene Bucci affermi che «parlando con i ragazzi, ho trovato motivazioni più idealistiche che strettamente legate alla ricerca di un lavoro per frequentare il corso», non manca lo spirito imprenditoriale: «Con alcuni compagni – racconta uno dei frequentanti – stiamo valutando la possibilità di fare consulenza come liberi professionisti, sfruttando anche il fatto che alcuni di noi già lo sono». In bocca al lupo.
Per saperne di più, vedi il sito della United Nations Framework Convention on Climate Change