Da filosofa a contadina
Battambang, 24 aprile 1975. La città capoluogo della provincia al confine con la Thailandia, a Nord-Ovest di Phnom- Penh, brulica di gente sin dalle prime ore del mattino. Le strade sono invase da una folla frenetica che si sposta confusamente in ogni direzione, simile a una moltitudine di formiche a cui è stato distrutto il formicaio. Tutti hanno ricevuto l’ordine di lasciare la propria casa. Un giorno indimenticabile per migliaia di cambogiani, in cui ebbe inizio la rivoluzione dei khmer rossi, messa in atto da una forsennata utopia omicida in cui persero la vita due milioni di cambogiani su una popolazione complessiva di sette. È in quel giorno che inizia l’incredibile odissea raccontata da una testimone d’eccezione, che si è trovata, suo malgrado, a vivere in prima persona uno dei passaggi più cruciali della storia del suo piccolo paese del Sud-Est asiatico. Una vicenda sconvolgente, estrema, che ha intersecato una delle pagine più atroci, crudeli ed efferate della storia. Tornata dall’inferno è il titolo della bella autobiografia appena uscita in Italia (Paoline), e Claire Ly è il nome dell’autrice, che ora vive in Francia ed insegna all’Istituto superiore di teologia delle religioni. Con due lauree in filosofia e diritto, alla vigilia del regime di Pol Pot era dirigente del ministero dell’Educazione. Anche lei è uscita presto di casa quel 24 aprile, portando con sé suo figlio Thira di appena tre anni, del tutto ignara di ciò che sta per succedere. Non sa ancora di portare in grembo un’altra vita, e che non rivedrà più la sua dimora di giovane sposa, in cui viveva circondata dall’affetto protettivo della sua grande famiglia. Gli uomini di casa – suo padre, suo marito, suo zio, tutti esponenti politici, fedeli al sovrano ancora regnante – sono stati convocati nella capitale. Ben presto la fuga verso la Thailandia viene impedita da Pol Pot. Comincia così la discesa all’inferno di Claire Ly.Un lento precipitare, sino a diventare nient’altro che un minuscolo ingranaggio di una grande macchina. Senza nome né volto. Saranno quattro anni di lavoro forzato nelle risaie, di terrore per le esecuzioni, di indottrinamento. Claire non deve lasciar trapelare di saper leggere, indizio sicuro di appartenenza alla classe borghese. I giorni si susseguono nel terrore, in una diuturna, ostinata lotta per la sopravvivenza, per sé, suo figlio e l’anziana madre. Ben presto, dovrà occuparsi di un’altra fragile vita, quella della bambina nata in cattività. Tuttavia la violenza trattata da Claire Ly non è in primo luogo quella palese e visibile, bensì quella sotterranea e latente che apre un universo drammatico nel quale i personaggi si trovano soffocati e invischiati senza via di scampo. Uno dei passaggi più sconvolgenti è il momento in cui suo figlio vede per la prima volta un mucchio di cadaveri lungo la strada, e domanda: Lì c’era mio papà?. Che cosa può fare una giovane donna contro la follia genocida dei khmer rossi, che hanno deciso di eliminare i nemici del popolo? La cultura cambogiana è fondata su una pratica millenaria del buddhismo, tutta tesa a perseguire tramite la compassione il superamento del dolore. Ma è arduo mantenere il distacco di fronte a tanto orrore. Inizia tuttavia in quell’orrore un cammino spirituale paragonabile a quello di Raïssa Maritain ed Edith Stein, filosofe come lei. Per sopravvivere, Claire non può rassegnarsi a reprimere dentro di sé la ribellione. Chiama perciò un Testimone, contro il quale dapprima scaglia tutto il suo odio, il suo rancore. Poi lo interpella, come Testimone, appunto, delle sue sofferenze e di quelle del suo popolo. Infine lo scopre inaspettatamente nella figura – sconcertante per un buddhista – di Gesù. Un percorso lento ma graduale, perché pone in dialogo filosofia del Buddha e Vangelo, in modo critico, mai sterile, capace di suscitare una profonda riflessione. Buddhista, convertita alla fede cristiana all’età di trentatrè anni, vorrei testimoniare – dice nell’introduzione del libro – un cammino di incontro: l’incontro tra la saggezza buddhista vissuta secondo la Via di mezzo insegnata da Shakyammuni, il Buddha, e l’ amore folle di un Dio venuto a raggiungermi nel deserto del genocidio di Pol Pot. E si domanda l’autrice a conclusione del libro: Diciassette anni di fede cristiana hanno cancellato la buddhista che ero? Ci si può sbarazzare di un’educazione, di tutta una cultura, come di un vecchio vestito? Onestamente, non credo che la mia conversione al cristianesimo abbia fatto rinascere in me una donna completamente nuova. Al contrario, la mia fede nel Risorto mi fa prendere coscienza della coerenza della mia storia personale. Tutta la mia vita è coinvolta nella dinamica della mia conversione, senza strappi, senza tradimenti. Sento l’irruzione nella mia vita di Gesù Cristo come il compimento della mia ricerca, come un punto di arrivo armonioso del mio essere. Forse si tratta di un’illusione piuttosto arrogante da parte mia, ma è così che vedo la risurrezione: un’armonia di vita anche nei momenti di frattura, una pienezza anche nella mancanza, una serenità anche nei momenti di rivolta. FIGLI DI KAMBU La storia della Cambogia, che deve il suo nome a Kambu, un personaggio legato alla mitologia hindu, può sintetizzarsi in una perenne ricerca del proprio spazio vitale tra i più potenti vicini, la Thailandia e il Vietnam. I khmer, considerati un popolo misterioso, appartenenti probabilmente al ceppo paleoindonesiano, erano già attestati in Indocina da tempo immemorabile. Un gruppo khmer, noto come Kambuja (figli di Kambu) fondò un regno autonomo a nord del Tenle Sap, il grande bacino che costituisce il cuore dell’attuale Cambogia. Dal IX al XIII secolo tale regno visse il suo periodo d’oro, estendendo i suoi domini sino alla Cina. È il regno di Angkor, di cui restano imponenti rovine nella foresta a nord di Battambang. Poi, la decadenza, con la disfatta ad opera dei sovrani del vicino regno thai. La Cambogia divenne vassalla del Vietnam e della Thailandia. Il resto è storia recente: chiesto aiuto alla Francia, la Cambogia fu riunificata in una monarchia costituzionale sotto protettorato francese. Solo nel 1954 ottenne l’indipendenza. Nominato dal protettorato francese nel 1941 re di Cambogia, Norodom Sihanouk abdicò nel 1960 in favore di suo padre, Norodom Suramarit. Creò quindi un partito politico, ed alla morte del padre si attribuì poteri di capo di Stato. Destituito da un colpo di Stato nel 1970, si alleò con i comunisti khmer, sino a quel momento suoi nemici. Il padre di Claire Ly era politicamente legato al sovrano, ucciso assieme al marito di Claire.