Da Caravaggio a Giacometti

Sono in sala le storie di due"irregolari" nell'arte, due vite sul filo del rasoio - sociale e personale - due genialità

Di Caravaggio esistono da decenni docufilm, film – celebre quello diretto da Derek Jarman – e fiction, fra cui quella televisiva con Alessio Boni. Ma altre ne sono in arrivo. Ora il 19, 20 e 21 febbraio in 330 sale debutterà Caravaggio – l’anima e il sangue, prodotto da Sky con Magnitudo Film, regista Jesus Garces Lambert. Dopo Raffaello e in previsione di Michelangelo, tocca al “genio maledetto”, oggi una star popolare: più  un oggetto di culto che di comprensione, più un personaggio “molto attuale” che un artista uomo del proprio tempo, dalla personalità sfaccettata.

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La consulenza  artistica, affidata a Claudio Strinati, Mina Gregori e Rosselle Vodret, ossia un team di studiosi di vaglia, ha aiutato nel docufilm affidato alla voce narrante di Manuel Agnelli. Insieme ad analisi puntuali  di numerosi dipinti – una quarantina -, alla ricostruzione della vita grazie a documenti anche recentissimi, alle riprese  in cinque città e in oltre quindici luoghi, il prodotto risulta lussuoso, ben confezionato e credibile. Alcune indagini dei dipinti, nei dettagli e nell’insieme, come Le sette opere di misericordia di Napoli, la Medusa di Firenze, le storie di san Matteo a Roma, La Decollazione del Battista a Malta sono molto belle, puntuali e affascinanti: fanno entrare “dentro” le tele. L’interscambio tra passato e presente diventa efficace, come pure il trattamento post-produzione della luce, la grande protagonista caravaggesca. È uno spettacolo visivo ben riuscito, coinvolgente e certo avrà successo. Lascia quel tanto di mistero che ancora avvolge l’uomo e l’artista (i suoi anni giovanili, un omicidio a Milano?). Forse non considera l’aspetto religioso di Caravaggio, appena accennato, ed invece  fondamentale nel suo percorso artistico e nel suo tempo, tracciandone sempre la figura di “artista maledetto”, affine – ha suggerito  Strinati in conferenza stampa – per certi versi addirittura all’eroe del fumetto Batman! Forse scherzava. Comunque, un lavoro da non perdere.

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Un altro geniaccio, volubile, scorbutico, libero e insoddisfatto, ossia Alberto Giacometti, l’artista italo-svizzero. Final Portrait – L’arte di essere amici –, diretto egregiamente da Stanley Tucci, racconta l’amicizia nata nel 1964 a Parigi tra l’artista e lo scrittore americano James Lord (Armie Hammer). Richiesto di posare per un ritratto in un pomeriggio, l’uomo vede poi la posa prolungarsi nelle settimane, dando così il via ad una amicizia autentica: entusiasmo, frustrazioni, ripicche, vita disordinata, nel corso di una creazione artistica tanto coinvolgente quanto contraddittoria e per certi versi drammatica. La regia ha la capacità di sottolineare  sfumature, delicatezze  psicologiche, nevrosi (quelle di Giacometti tra fumo alcol e prostitute e il narcisismo di Lord), con frequenti primi e primissimi piani, in particolare nel dialogo visivo tra il volto del ritrattato, cogliendone i minimi sussulti del pensiero e la tela che si va compiendo. Tra passeggiate in cui si discute di vita, di morte, di suicidio e di arte («Picasso è un ladro!», sbotta Giacometti), e diciotto pose snervanti, si compie il viaggio dell’amicizia fra due uomini diversissimi, eppure affascinati nella reciproca conoscenza. Man mano che l’opera d’arte prende forma, prende sostanza l’amicizia virile, necessaria all’eccentrico donnaiolo Giacometti. Film intenso, organico, dove gli attori, sia Hamme che un grandissimo Geoffrey Rush offrono interpretazioni  memorabili, tali da far amare le opere “incompiute” di Giacometti.  E Tucci, più noto come attore che come regista, firma un lavoro prezioso, di alta originalità. Da non perdere, anche per comprendere il dolore, la fatica, lo strazio della creazione  artistica  e l’importanza in questa dell’amicizia vera.

P.S. In occasione  di San Valentino escono  ovviamente altri film.  Oltre al supereclamizzato 50 sfumature di rosso- fotoromanzo patinato e null’altro –  ritorna Gabriele Muccino in Italia con A casa tutti bene, per scoprire un Belpaese di litigiosi, rancorosi, arrabbiati, coppie scoppiate nella festa per i 50 anni di matrimonio dei genitori. Gran cast italiano (tutti o quasi quelli celebri, cioè i soliti), racconto sotto il sole di Ischia, superficialità allo stato puro in un soggetto già visto e rivisto. A 50 anni, l’età di Muccino, forse ci si aspetta qualcosa di più. Peccato.

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