Da Bruxelles un monito all’Europa
La cosa più impressionante sono le immagini delle telecamere di sicurezza, all'aeroporto di Zaventem e alla stazione metro di Maelbeek. Persone che camminano con noncuranza verso l'imbarco, mamme con bambini per mano. Poi di colpo, fiamme e fumo, panico. È la metafora della vita degli abitanti della capitale europea. Il fatto di avere i terroristi in casa aveva creato un misto di preoccupazione permanente e di incuranza, come un'irreale sicurezza che proprio qui non avrebbero colpito. Invece la vita cambia di colpo anche a Bruxelles. La città è barricata, le vie d'accesso bloccate e ognuno rimane dove si trova. Ai funzionari Ue è stata data la consegna di non uscire dai palazzi delle varie istituzioni. Troppo facile era entrare in aeroporto, o in un vagone della metro carichi di esplosivi, pur in un Paese che è da mesi al livello di allerta 3 su 4.
Nel giorno in cui Bruxelles conta i suoi morti, le altre capitali si interrogano su uno stile di vita che ci rende vulnerabili. Eppure chi scrive considera la tragedia di Bruxelles come una formidabile chiamata non a chiudersi ma ad aprirsi. Un appello alle istituzioni europee e ai nostri governi ad essere presenti, a promuovere politiche coraggiose: se incominciamo a deportare in Turchia i rifugiati siriani approdati faticosamente sulle coste greche, che modello di società proponiamo, anche alle frange estreme del fondamentalismo islamico che abitano tra noi?
Occorre un surplus di coraggio politico e di valori, su cui i nostri Stati e l'Ue sono fondati, gli unici che possono tagliare l'erba sotto i piedi ai valori capovolti, eppure così forti da spingere giovani europei a immolarsi per uccidere loro compatrioti, cittadini di una società cui sentono di non appartenere. Riusciremo a recuperare chi si sente attirato da queste frange impazzite, o siamo solo capaci di pensare di poterli eliminare, espellere come chi viene da noi a cercare protezione?
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