Da Betlemme ai nuraghi
Aeroporto di Cagliari Elmas, una mattina di luglio. Un folto gruppo di persone è in attesa del volo proveniente da Fiumicino. Nel pieno della stagione delle ferie, lo scalo è particolarmente animato. Gli ospiti attesi con tanta visibile emozione sono in tutto undici: quattro adulti e sette bambini. Sono cristiani palestinesi e vivono a Betlemme: Nidal e Rima, lui artigiano del legno, lei insegnante di inglese, con le figlie Mareen,Myra e Carina; poi Gorge e Nathalie con due maschietti, Mousa e Maher, e due bambine, Micheline e Majid. Lui è un tecnico degli audiovisivi, mentre sua moglie contribuisce al bilancio familiare facendo lavori di cucito. Vivere oggi a Betlemme significa vivere in una città circondata da un muro, con punti di transito vigilati che di fatto strozzano l’economia di quello che era un fiorente distretto commerciale, agricolo e, soprattutto, turistico. Chi va a Betlemme può solo permettersi una fugace visita alla Basilica della Natività, per poi ritornare subito fuori, lasciando inutilizzate le strutture turistiche della città. I Focolari, presenti da tempo in quelle terre, hanno segnalato le condizioni di estremo disagio in cui vivono famiglie e giovani. Sono sorte diverse microimprese, come quella (sostenuta dall’Amu, Ong assai attiva sul campo) dell’autoscuola gestita da donne per le donne. O quella, altrettanto innovativa, che ha consentito a un architetto disoccupato di riciclarsi come agricoltore. Ha addirittura introdotto un sistema di coltura non tradizionale sul posto – la serra per ortaggi -, rendendo possibile l’autosufficienza alimentare per tutto l’anno. Ma l’attività principale del Progetto Betlemme – così viene ormai definito l’insieme di tutte le iniziative finalizzate al sostegno di quelle comunità – resta pur sempre il turismo. Per le occasioni più varie – nozze d’oro o d’argento, desiderio di una profonda esperienza spirituale nei luoghi santi per eccellenza, fascino di un mondo a noi così vicino ma in fondo sconosciuto – da Italia ed Europa sta prendendo piede una forma di attività turistica responsabile. Essa mira non solo alla conoscenza di quei luoghi così pregni di sacro, ma anche all’incontro con le persone che li abitano. Sono gruppi dei Focolari – famiglie, giovani, parrocchiani – che incontrano e solidarizzano con altre famiglie, altri giovani della Terra Santa che in vario modo sono vicini al movimento e ne vivono lo spirito. Dalla Sardegna, una prima volta, sono partiti in 145. Tutti ora, a distanza di un anno, ricordano gli incontri con le co- munità del posto, a Betlemme, Gerusalemme, Nazaret e Haifa, come momenti culmine del loro viaggio in quei luoghi. Ricorda Graziella Pili, di Iglesias: Abbiamo ascoltato le loro forti testimonianze, ma non in un clima di odio o di rivalsa, bensì di grande voglia di pace. Ci siamo resi conto della difficoltà di vivere in quella terra tangibilmente santa perché ancora teatro di tanto eroismo vissuto nel silenzio e nella normalità. Una ragazza palestinese cristiana, ad esempio, ci ha detto che, in occasione di un compleanno, doveva recarsi a casa di una compagna ebrea; ma, per farlo, avrebbe dovuto oltrepassare muri, ronde e controlli. La sera stabilita decise di affrontare queste difficoltà: l’amica ebrea e la sua famiglia apprezzarono quel gesto e lei restituì la visita, fatto assai inconsueto, data la situazione. I sardi ripartono con un unico desiderio, da tutti condiviso: ricambiare i mille gesti di un’ospitalità sincera, con una vacanza in Sardegna per alcuni dei nuovi amici. Quasi miracolosamente – dice Mina Farris, una dinamica insegnante tra gli organizzatori della vacanza sarda dei palestinesi – risolviamo le difficoltà per ottenere il visto di espatrio. Così due famiglie, almeno due, potranno estrarsi per qualche settimana dalla dura realtà quotidiana. Ad opera di altri amici di quel viaggio si moltiplicano le iniziative per raccogliere i soldi per i biglietti: concertini, lotterie, salsicciate. Alla fiera di Porto Torres alcune famiglie vendono degli oggetti in legno prodotti a Betlemme e spiegano le finalità del progetto.Arrivano idee e contributi per un programma che faccia conoscere i tesori della Sardegna e consenta momenti intensi di scambio, riposo e dialogo con altre persone e famiglie. A Calasetta, una graziosa località in riva al mare, la mamma di una di noi vuole contribuire mettendo a disposizione la sua casa. Arriva il giorno fatidico. Grande è la gioia degli ospiti alla vista delle bellezze naturali che fanno da cornice ad un’esperienza di vero amore scambievole. Nessuno di loro – prosegue Mina – aveva mai visto il mare. I bambini non resistono alla tentazione di bagnarsi i piedi, poi finiscono tutti in acqua. Gli amici palestinesi, in realtà, conoscono assai poco della terra che li ospita, culla della civiltà nuragica, al massimo del suo splendore ai tempi in cui il padre Abramo pose le sue tende nella Terra promessa. Si alternano incontri, scambio di doni artigianali, apprezzamento reciproco per i tesori dei popoli di appartenenza, per affinità e differenze scoperte in quei giorni. Gente diversa, toccata dall’iniziativa, si mette a disposizione per una giornata in barca, una visita guidata alle miniere di Iglesias, una gita alle bellissime scogliere di Nebida. Non mancano i momenti di preghiera: ad Iglesias pregano per la pace insieme alle clarisse, a Cagliari visitano il santuario della Madonna di Bonaria. Ma il momento più importante è l’incontro a Sanluri, nella sala consiliare, accolti dalle comunità sarde del movimento e dalle autorità politiche. La loro dignità nel racconto di tante sofferenze e la loro capacità di gioire delle piccole cose lasciano una traccia profonda in quanti li incontrano: Conserveremo a lungo sguardi, volti, sorrisi, lacrime e speranze condivise nei giorni trascorsi insieme, dicono i sardi. Da Betlemme scrivono invece: Vi abbiamo sentiti come la nostra famiglia.