Da Beethoven a Sgambati
Faccia a faccia tra due musici interpretati magistralmente dall'Orchestra sinfonica di Roma diretta dall'energico Francesco La Vecchia
Ci vuole coraggio per presentare al pubblico- come ha fatto l’Orchestra Sinfonica di Roma, diretta dall’energico e preciso Francesco La Vecchia – la Sinfonia in re maggiore di Giovanni Sgambati, autore poco noto del secondo ottocento, e coraggioso propugnatore di un necessario approccio italiano al mondo sinfonico.
Diciamo subito che i quaranta minuti della Sinfonia scorrono senza intoppi. Il secondo movimento, Andante mesto, è una bella melodia italiana “strumentata” alla tedesca, come pure il brillante Scherzo. La cantabilità riemerge di continuo fra le tessiture armoniche mai complicate, così che Sgambati sembra offrire un’unione fra tradizione nostrana e influsso nordeuropeo di calmo e suggestivo ascolto.
Quando poi si passa all’Eroica di Beethoven, si ha la sorpresa- grazie ad una orchestra che ha nei violoncelli e nei violini delle punte di diamante di espressività – di risentirla nuova. Beethoven i n queste sue opere geniali non stanca mai. L’apertura squillante dell’Allegro con brio è uno squarcio del cosmo, un inno di vittoria dell’uomo sul mondo, l’apparizione di un eroe. Ma la Marcia funebre poi si trasforma in dolore universale, singhiozzante, sempre virile. Un dolore che si alza in volo verso il sublime, l’eterno con una linea ascendente degli archi che è tutta luce. Come se l’eroe fosse trasfigurato. Gli ultimi due tempi, di forte impulso ritmico, con un brio umoristico sottinteso, ritmano un’aura di sicurezza raggiunta.
La Vecchia dirige con entusiasmo e l’orchestra risponde alla pari, con quel gusto per il chiaroscuro che le è tipico e con l’energia galvanizzante dei suoi giovani strumentisti. Pubblico folto e felice.